I “gialli” dei fumetti sono da sempre parte integrante dei gialli, intesi storie di detective. I “gialli” sono naturalmente i “musi gialli” ; popolano da sempre le avventure poliziesche. Ideali come spalla o cattivi perché, chiusi nel mistero della loro civiltà inaccostabile, sono tutti piccoli e uguali con quel pizzico di saggezza a metà fra un proverbio popolare e un verso di poesia.
Destinati a far da sfondo inquietante hanno avuto anche un detective: – Chan. A lui la televisione nell’84 ha dedicato una serie di film. Se non bastasse questa relazione tra “gialli” basterebbe comunque l’identità del colore ad indurci nella tentazione di indagare il mondo de “il cinese nei fumetti”. I cinesi più famosi dei fumetti non sono in effetti presentati come tali, sono anzi gli abitanti del pianeta Mongo dove Gordon ha le sue avventure.
Alex Raymond (l’autore delle “avventure di Gordon”) decide di colorare la faccia di questi abitanti di giallo e questo induce sospetto. Qualche altro sospetto che di cinesi si tratti viene poi dal nome del dio adorato da questo popolo: Tao. Anche chi non è addentro nelle “cineserie” sa che questo è un principio filosofico importantissimo nel mondo estremo orientale, e da principio filosofico a dio il passo non è poi così lungo.
Altri sospetti infine derivano dal volto dell’imperatore Mongo, dal suo nome, dal nome del pianeta, dalle vicende narrate e dal nome stesso di “Gordon”. Il volto del sovrano è infatti decisamente orientale non solo nel colore, quanto anche nei tratti somatici. Il suo nome poi è “Ming”, il nome della penultima dinastia cinese che venne sconfitta e abbattuta dai Manciù, popolo imparentato coi Mongoli (si ricordi che il nome del pianeta è “Mongo”) e talvolta anche scambiato coi Mongoli. Infine il nome del principe mancese che uccise l’ultimo sovrano Ming era “Dorgon”.
Tutta questa serie di relazioni spinge ad osservare la vicenda. Gordon passa di avventura in avventura sobillando i popoli sottoposti al tiranno e lottando strenuamente contro il despota. In questo stesso modo operarono per lungo tempo i Manciù che alla fine ne riuscirono a isolare e quindi a sconfiggere la dinastia Ming. Per concludere questa serie di relazioni si può ritornare sull’episodio che mette in contatto Gordon con questo pianeta di “gialli”. La Terra è in rotta di collisione con quest’altro mondo, il nostro fulgido e biondo eroe parte con amico scienziato e onnipresente fidanzata per salvare il suo pianeta che, guarda caso, si identifica praticamente con gli USA.
È fin troppo facile a questo punto parlare di pericolo giallo, minaccia della civiltà occidentale e così via, simboleggiati tutti in Mongo, quell’enorme palla che viaggia nel cielo destinata a distruggere le nostre case e i nostri affetti. I cinesi tornano poi, questa volta esplicitamente, con un altro eroe di Raymond: Jungle Jim. Questi è un cacciatore di animali in Malesia ed in un episodio apparso in America tra il 1934 e il 1935 si trova a combattere il perfido Chao Fang e la sua banda di Cinesi che hanno schiavizzato dei poveri indigeni locali. Anche qui l’eroe si pone a capo della rivolta e vince questi esseri malvagi.
Stessa cosa capita a Tarzan in un episodio del ’38 solo che questa volta il gruppo di cinesi si è messo a capo di una tribù africana. Nello stesso modo di Jungle Jim, Tarzan capeggia una guerra contro i perfidi “musi gialli”. Del resto come non li si può combattere? Gli occhi a mandorla sono già nella iconografia occidentale gli occhi dei cattivi e quello che per un bianco implica un movimento delle sopracciglia quando si vuole significare rabbia, cattiveria, in un cinese è già una “disposizione naturale dell’occhio”. Il mistero della cultura, le “torture cinesi”, il “pericolo giallo” fanno il resto.
I negri possono essere nei fumetti buoni servitori, a volte un po’ indisciplinati, ma la loro stupidità non li rende veramente pericolosi, ma i cinesi… quelli sì! Le loro donne poi sono maliziose, avvenenti, seducenti, proprio per questo non meno pericolose degli uomini, come la bellissima Shangai Lil (il nome evidentemente rubato a Marlene Dietrich) che pure diverrà la fedele fidanzata di Jungle Jim. Ma poi non che tutti i Cinesi siano cattivi. C’è un cinesino fedele servitore di Terry (quello di “Terry e i pirati” di Milton Caniff) che è buonissimo. Certo è un po’ una ‘macchietta’ parla sostituendo alla ‘erre’ la ‘elle’, così ‘cravatta’ diventa ‘clavatta’, ma del resto i negri non dicevano ‘badrone’?
Così come nelle storie i cinesi rappresentano la perversità, qui il piccolo servitore introduce l’elemento che dovrebbe motivarci un sorriso, specie se la sua dabbenaggine è paragonata alla durezza e alla dirittura morale del suo padroncino Terry. Ma Milton Caniff è del resto ammalato di “Mal di Cina” e oltre a Terry, in Cina sono ambientate anche le storie di Steven Canyon che è uomo già cresciuto rispetto all’adolescente castigamatti. Sia nelle avventure del giovane che in quelle del più maturo protagonista ci sono i buoni e devoti cinesi delle missioni occidentali spaventati, terrorizzati da quel cancro che sono i comunisti cinesi.
Ed essi, più dei loro eroi bianchi, hanno paura degli stupidi e crudeli ‘rossi’, forse perché, ci viene suggerito, in fondo Steve Canyon è americano e se le cose vanno male può tornare a casa, mentre i suoi amici ‘gialli’ la casa la perderebbero se gli altri gialli (quelli pericolosi e comunisti) vincessero. Ahinoi questa volta il finale buono (quello definitivo, risolutore che conclude la guerra dopo le mille battaglie vinte dei nostri eroi) non può venire perché la Cina – seppur fondamentalmente popolata da buoni selvaggi, e quindi buona – diventa rossa e allora non ha più senso ambientare lì le avventure di un giovinetto americano. Questi perciò crescerà e diventerà un pilota, ma avrà sempre a che fare con spie e criminali gialli, anche se questa volta a Washington e non a Shanghai. Ma a parte l’ideologia la Cina di Milton Caniff non è pretestuosa come negli altri autori, ed anche a parte la geografia, Caniff è intriso di Cina. La famosa macchia di nero, la pennellata se pure come effetto si richiama a certi film di Howard Hawcks dove le luci sono messe in modo che il nero tinteggi e renda frastagliata la faccia dei protagonisti, come tecnica è presa direttamente dalla pittura cinese. Ciò che si ottiene è poi a volte un non rispetto delle regole della prospettiva leonardesca, ma un intersecarsi di piani di luci e ombre.
I ‘gialli’ con Caniff entrano nel sangue stesso del fumetto con le tecniche prese dalla loro arte e con la differenziazione (anche se tra stupidi e cattivi) che viene proposta. Certo i “musi gialli” rimangono quantomeno strani e inquietanti, ma proprio per questo sono “gialli” altrimenti sarebbero stati solo dei personaggi come tanti altri, come succede in “Corte sconta detta arcana” di Hugo Pratt, ma questa è un’altra storia che ha poco a che fare con il giallo limone con cui Raymond e compagni si divertivano a tingere il povero imperatore Ming che, chissà, forse per qualche segreta artrite, cammina, siede e si muove sempre con la testa piegata e le pupille che perciò guardano dal basso in alto il suo biondo interlocutore, Gordon.