Aveva mangiato tosto, Il Beppe. Polenta a strafottere; e prima un risotto di quelli così cotti che ci mettono lo zafferano per tirarli su e ricacciarli in pista. Per non parlare del famigerato zabaione e delle banane flambé, le uniche al mondo ad autocombustione. Naturale che il mattino dopo, quando il Beppe si guardò allo specchio del bagno, la lingua pareva un cedro del Libano e gli arti erano accartocciati come zampe di gallina. Un fiato, quel che era peggio, che avrebbe fatto secca una primula a venti metri, altro che napalm; con quella faccia da limone spremuto che neppure un cinese col mare forza dieci. Il Beppe si mise il rolex d’oro sopra il maglioncino ocra, s’infilò i calzini camomilla, calzò un paio di timberland appassite. Poi si fece un “canarino” ed uscì. Il sole era già alto. Fermò un taxi: “Mimosa 35”, lesse. Era una Renault gialla che pareva di essere a Le Mans. Ma il pulcino pannolenci che dondolava sul retrovisore e l’autoradio a mille che gracchiava una canzonetta, non potevano ingannare. “Le piacciono i Beatles?… Sente Yellow Submarine… gran pezzo!”, attaccò il taxista, un ometto con degli strani occhi a mandorla e i capelli lisci come l’olio. “Hong Kong?” “No. Epatite virale, ma sono fuori contagio”, rispose il taxista. “Sa, è stato per le cozze, quando sono andato a Napoli a vedere il Verona… Io sono di Matera, ma tengo al Verona: mi piacciono le sue maglie così eleganti, con quel giallo che…” Il Beppe si distrasse a lungo con gli occhi persi in avanti, a fissare una cartina sul sedile anteriore di fianco al conducente. Ora il Taxista parlava eccessivo, con foga. Preoccupava, questa sua insicurezza nell’infilare i semafori a pelo, un giallo dietro l’altro. Il discorso s’ingarbugliò nel tedio del “c’era una volta la natura”: quando il grano era biondo, le pesche spaccarelle, quelle belle gialle, costavano solo mille lire al chilo e l’autunno arrivava in orario, con le foglie degli ippocastani che si posavano sui viali, ricoprendoli di un bel tappeto giallo. Altri tempi, signore… Quando il Beppe si ritrovò in strada erano le dodici. Alzò gli occhi frastornato, Attraverso le case, il cielo era di un azzurro intenso. Si fermò ad un chiosco e bevve veloce una cedrata, tutta d’un sorso. Rialzò gli occhi: il cielo. Come aveva fatto a non pensarci prima? Azzurra! Quest’anno la Smemoranda la faremo azzurra! Salì le scale di corsa e si precipitò nell’ufficio. Gli altri della redazione lo aspettavano alle nove. Non li salutò neppure. Gridò solo: “Ragazzi, ho un’idea: questâanno la Smemoranda la facciamo…” “Gialla”, dissero gli altri. “Gialla, appunto. Volevo proprio dire gialla – mormorò il Beppe passandosi una mano sulla testa -. Gialla come una zucca.”