I numeri della mente, le corde del cuore.

di Claudio Ricordi su 16 mesi - Smemoranda 1995





Non è un segreto che la composizione musicale, e non solo quella colta, sia spesso costruita con un considerevole apporto matematico, che sono poi le regole basilari che da almeno tre secoli guidano il compositore a sviluppare le proprie idee e le proprie intenzioni musicali. E’ con un pizzico di retorica ed una manciata di leggenda che grandi compositori del passato e del presente riempiano metri di pentagrammi col contributo di formule e disquisizioni di matematica pura (o quasi)… “la forma musicale è matematica, e io stesso, quando ero studente, ero più interessato alla matematica che alle altre materie… malgrado ciò, il compositore non deve cercare nella musica delle formule matematiche” racconta Igor Stravinski alle soglie del suo settantacinquesimo compleanno, nel 1957: ma, di lì a poco, Karlheinz Stockhausen metterà alla base di tante sue partiture una vera e propria “formel”, una formula, appunto. 
E non sarà l’unico…
La mente raziocinante sembra proprio voler sovrintendere alla crescita dell’edificio musicale, quasi un esoterico architetto seminascosto agli occhi – meglio: alle orecchie – della maggior parte del pubblico.
Ma non è così.
Penso che il calcolo nasconda spesso qualcosa. Forse l’insicurezza di chi se ne avvale. Forse la voglia di crearsi nuovi codici, nuovi riferimenti. Forse la necessità di zavorrare l’esubero di fantasia, di evocazione che la musica può produrre, quasi ad evitare di mettere in movimento una reazione a catena emotiva.
Scriveva Cocteau che “l’arte è scienza fatta carne”, e quindi “il musicista apre la gabbia alle cifre”. E i numeri volano via come “farfalloni amorosi”… Dove vanno? Dove si posano?… sul cor che, nudrito da speme, da amore, di un’esca migliore bisogno non ha.
Ecco. I numeri, una volta liberi, si vanno a posare sui rami del cuore: li agitano, li fanno vibrare, ottenendo l’effetto voluto. Forse ha ragione il Grande Igor: “la musica per se stessa non significa niente” ma, liberando i codici numerici, alimenta arcaici DNA emotivi e collettivi, ombre psicoacustiche di remote tracce tribali…
Il bravo compositore siede al pianoforte.
Il bravo compositore sa quali emozioni può suscitare a seconda dei tasti che preme: mette le mani sulla tastiera, e sa che ad ogni sequenza di tasti che toccherà vibrerà la relativa Corda del Cuore. Dentro il pianoforte, se lo aprite con cautela, troverete il Grande Cuore (venderò questa immagine a Cronenberg). da qui il famoso (nel futuro , dopo la pubblicazione di questo scritto) concetto dell’Orecchio del Cuore: quello che ascolta la musica, che ne percepisce le emozioni quando “sente” il giusto rapporto degli ingredienti musicali, del corretto calcolo del loro dosaggio…
Adesso capite “perché ci vuole orecchio”?… 
Solo un cardiochirurgo-musicista poteva scoprirlo prima di me.


Claudio Ricordi


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Smemoranda 1995


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