Alle sette e cinquanta Chiamiamolo Yusuf è già sul luogo di lavoro: via Melchiorre Gioia angolo via Tonale. Le auto procedono in colonna, si fermano al semaforo rosso e Chiamiamolo Yusuf si accosta. Nella sinistra impugna la boccetta con beccuccio a schizzo contenente il liquido verdastro e nella destra lo spazzolone tergicristallo; infilato nella tasca posteriore lo straccio per pulir via gli sbrodoli.
Le braghe da lavoro sono giustamente lerce all’altezza delle cosce, la maglietta all’altezza del torace.
L’uomo è metodico: sorride, si avvicina alla prima auto e riceve un rifiuto, allora, sempre sorridendo, passa alla seconda auto dove un’altra testa ripete di no. Alla terza auto, senza troppe cerimonie, dalla boccetta con beccuccio schizza il liquido verdastro sul parabrezza e lui, con consumata abilità, prende a mulinare la spazzola tergicristallo. Sempre spianando quel sorriso cordiale, giallognolo e lacunoso. Quello dentro l’auto fa un cenno di protesta, poi scuote la testa rassegnato e alla fine sgancia venti centesimi e un vaffanculo. Chiamiamolo Yusuf continua a sorridere. Questo succede quasi sempre alla terza auto della fila, ogni tanto alla quarta. Marketing amichevole e aggressivo: cortesia, professionalità, determinazione.
Non sempre riesce a rifinire il lavoro a regola d’arte perché quando scatta il semaforo tutti suonano e spesso non fa a tempo a pulire gli sbaffi che colano sui parafanghi. Pazienza. E comunque mai nessuno è tornato indietro a protestare.
Quando s’accende il verde l’uomo lavavetri torna sul marciapiede e, se non ha da riempire la boccetta con beccuccio a schizzo, si appoggia al palo. En attendant.
Al ritorno del rosso ricomincia il giro: prima auto, no grazie, seconda auto, no grazie, alla terza “chi se ne frega te lo lavo lo stesso al massimo non mi paghi”.
Alle otto e quindici l’uomo lavavetri ha riempito tre volte la boccetta, ha rimediato due euro e diciassette centesimi, una mezza dozzina di vaffanculo e due sigarette. Pensa che fra un quarto d’ora potrebbe concedersi una pausa: caffè e pisciatina al bar d’angolo.
Alle otto e sedici è fermo sul marciapiede appoggiato al suo palo quando lo vede arrivare.
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Alberto Perini da Canegrate, agente immobiliare, si è alzato alle sei e trenta, ha fatto colazione, la cacca e la doccia. Alle sette è salito in auto; indossa una camicia stirata, la giacca è posata sul sedile posteriore. Su quello anteriore siede Patrizia Crivelli detta Patti, fidanzata: alta, secca, graziosa, truccata, profumata, occhiali da sole, infilata in un tailleur scuro, calze brunite, gambe lunghe, scarpa con tacco a spillo. Patrizia è bionda, si accorda benissimo con la selleria in pelle nera dell’auto.
Alberto Perini è assolutamente fiero della sua auto nuova. Tecnicamente si chiama SUV – Sport Utility Vehicle ma lui la chiama affettuosamente “la mia bestia”. La sua bestia è di marca tedesca.
Quattromila e cinque di cilindrata, otto cilindri, common rail, una potenza di 200 kW/272 CV e una coppia massima di 350 Nm. L’abitacolo è un supermarket di tecnologia, manca solo il comando telepatico. Lettore CD, DVD, PCD, SPC, antifurto satellitare, clima a sei uscite bilanciate. Quando pensa alla sua bestia Alberto Perini si commuove.
A parte l’auto, però, ha un sacco di ragioni per essere di cattivo umore. Tanto per cominciare è più di un’ora che sta in coda, praticamente da quando è uscito di casa, la camicia comincia a essere stazzonata, sotto le ascelle si allarga una macchiolina di sudore, la radio ripete notizie di cui gli frega niente e musichette insulse. “Più di un’ora in coda. Ma è mai possibile che ’sto cazzo di sindaco non combini un cazzo per il traffico”.
Un’altra ragione per cui Alberto Perini agente immobiliare è di cattivo umore è che la Patrizia detta Patti da qualche tempo gli sta a ventosa ventiquattrore su ventiquattro. Mai un attimo per respirare. Alberto di qui Alberto di là, sempre a marcarlo stretto, anche sul lavoro avvinta come l’edera… “Che poi ci sarebbe questa tizia nuova, una troiona di prima scelta, certa Alessandra, appena assunta cococo. Un robone spropositato che tracima sesso. La molla, quella la molla, sicuro come l’oro. Non fosse per quella prugna rinsecchita della Patti che mi sta appiccicata come un ciuingam sotto le scarpe…”.
Sono le otto e quindici quando Alberto Perini, già incazzato nero di suo, sta per arrivare all’incrocio di via Melchiorre Gioia con via Tonale. Lo vede da lontano, appoggiato al palo sul marciapiede, nella sinistra la boccetta e nella destra la spazzola. “Solito marocchino rompicoglioni”.
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Il SUV rallenta e si ferma a debita distanza dall’auto che precede. Sta in terza posizione, non può sfuggire. Chiamiamolo Yusuf avanza spianando il suo sorriso più cordiale. Brandisce spazzola e boccetta con beccuccio e si avvicina al SUV. Alberto Perini fa no con la testa, molla la frizione e porta avanti la bestia di mezzo metro. Il marocchino insiste, è la regola: “Alla terza auto chi se ne frega te la lavo lo stesso”.
Continua a spianare il suo sorriso lacunoso e infine schizza il parabrezza. Il liquido verdastro cola sul vetro, qualche goccia raggiunge il cofano immacolato. Alberto Perini da Canegrate non è razzista. Non è razzista ma non sopporta le ingiurie. Soprattutto se rivolte al suo SUV.
L’uomo al volante grugnisce, scuote la testa, spegne il motore, si toglie gli occhiali da sole e apre la portiera. Patrizia detta Patti cerca di trattenerlo. “Ma vaffanculo stronza”.
Mentre scende dalla “sua bestia” l’agente immobiliare è dominato da un’incazzatura irrefrenabile dovuta a: un’ora e un quarto di coda, Patti a ventosa, il marocco che gli insozza il SUV nuovo di pacca. Almeno tre volte alla settimana Alberto Perini si gonfia i bicipiti alla palestra Maciste di Canegrate “I nuovi dei si allenano qui”. Ora ha intenzioni di fare uno sfracello.
Quando è a terra però guarda meglio: il marocco lavavetri ha la maglietta zozza, braghe zozze, mani zozze, niente doccia da un mese come minimo e dell’alito meglio non parlare. E allora decide di cambiare tattica: niente sfracello, basta uno spintone, accompagnato da gragnuola di insulti e un paio di porchiddio. Evitare con cura qualsiasi contatto fisico.
Patrizia detta Patti, immobile sul sedile di pelle nera, piagnucola.
Il tutto dura meno di un paio di minuti, quanto basta per scatenare il diluvio di clacson.
Discretamente sfogato Alberto Perini risale sull’auto, accende il motore, infila gli occhiali da sole e sgomma via.
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Durante il fescennino Chiamiamolo Yusuf ha deposto per un attimo il sorriso, la boccetta, la spazzola lavavetri e si è preparato alla pugna. Poi, dopo il primo spintone, ha capito che quello stava a distanza e anche lui si è limitato più che altro a vociare e insultare. Rigorosamente in arabo. S’è un po’ incazzato per via che, andando a ritroso, ha inciampato sul marciapiede e s’è trovato col culo a terra. Che non è molto onorevole. Quando quell’altro ha girato i tacchi ed è sgommato via Chiamiamolo Yusuf ha finito gli insulti, ha alzato le braccia al cielo e intonato un litania: accorata, lamentevole, se si vuole anche un po’ troppo melodrammatica. E minacciosa.
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Il dio dei lavavetri è solitamente distratto, sennò quelli non farebbero i lavavetri. Il dio dei lavavetri è grande e misericordioso, quando non è distratto, e presta ascolto alle invocazioni del suo gregge. Il dio dei lavavetri, udite le parole di Chiamiamolo Yusuf, provvede a seminare sul tragitto dello sgommante Alberto Perini nell’ordine: A) sulla corsia di sinistra Rosaria Cascione alla guida di Fiat Panda vecchio modello alla andatura di diciassette chilometri orari e B) sulla corsia di destra, macchia oleosa defluita cinque minuti prima dal furgone di Franco Cotroneo detto Ciccio parcheggiato in seconda fila. Parcheggiato il furgone, s’intende.
È un attimo. In pieno sgommamento da ripresa che “raggiunge i cento chilometri orari in sette secondi e tredici”, Alberto Perini scarta sulla destra l’auto della Cascione e si infila sopra la macchia depositata dal Cotroneo. Il SUV perde il controllo e inizia a planare lentamente ma inesorabilmente. Direzione spartitraffico. Più preciso: direzione lampione che sta piantato in mezzo allo spartitraffico. Dove, in virtù di legge fisica della non compenetrabilità dei corpi solidi, il SUV si ferma. Un botto, un sibilo e niente più.
Alberto Perini si toglie gli occhiali scuri, scende, osserva la “sua bestia” ferita. Devastata. Forse morta. Non ha lacrime per piangere, non ha parole per il lutto. Solo sgomento.
Patrizia detta Patti, ancorata al sedile di pelle nera, mugola.