Il ventitré dicembre 2002, alle cinque di pomeriggio, Eleonora entrò nella Chiesa della Consolata, che era grande, barocca e piena. Era in corso una funzione di un certo impegno, c’era chi predicava, chi cantava e chi suonava l’organo, e nessuno fece caso alla ragazzina che scivolava di lato, e imboccava la scala che portava di sotto, in quello che lei considerava, probabilmente a torto, il seminterrato della Chiesa. Eleonora, diciassette anni compiuti da una settimana, si sentiva schizzare il cuore come un criceto sulla ruota. Sapeva che la velocità, dea dei futuristi, era il requisito essenziale alla sua impresa: individuare, agire, fuggire. Tastò il martello che aveva in tasca, con la testa avvolta in uno strofinaccio, e poi si guardò attorno. Nella marea compatta di ex voto che si infittivano sulle pareti doveva esserci quello che cercava. E infatti eccolo, un rettangolino ancora libero, in un angolo quasi invisibile, dietro un massiccio confessionale ritorto. Spaventata al punto di sentirsi il criceto in gola, Eleonora piantò un chiodo in quel rettangolo, con due sole martellate relativamente silenziose, poi tirò fuori dallo spazio fra giaccone blu e maglione bianco una piccola tavoletta di balsa, e la appese al chiodo. Fatto. Il suo ex voto si mimetizzava abbastanza bene fra gli altri. Raffigurava, con colori a olio e tratti precisi, un ragazzo con una chitarra rossa al collo, una Gibson GS. Il chitarrista si trovava su un palco, esattamente sotto un grande poster di George Harrison, che Eleonora si augurava di aver reso in modo decifrabile. Il ragazzo aveva la bocca aperta, i capelli dritti e gli occhi a palla, e dalla mano appoggiata alle corde della chitarra schizzavano tre fulmini brevi ma molto arancioni. L’altra mano era staccata e si agitava in aria, fornita di cinque fulmini personali, uno per dito. L’idea generale era di esprimere una scossa, e l’effetto era stato raggiunto. Sullo sfondo, accanto al poster di George Harrison, Eleonora aveva dipinto a lettere nere e pulite: “ Il 2 novembre 2002 sfuggendo a morte certa per scossa, ricevette la grazia della vita da George Harrison. Eleonora, per Giovanni, qui pose.”
Invece di fuggire, Eleonora non poté resistere al fascino che ogni opera d’arte esercita sul proprio autore, e restò a contemplare il suo ex voto. Esaminò i vicini, per vedere se era in buona compagnia: sotto c’era un bimbo sfuggito al treno, e sopra… quello sopra era strano. Lo osservò con attenzione: in una cucina piuttosto sciatta, un uomo giovane e alto stava accoltellando una vecchia. Dal cuore spaccato della donna uscivano fiumi di sangue, e le sue mani, fino al gomito, erano scheletri. Sul bordo, una scritta in rosso: “Per grazia ricevuta, 23 dicembre 1952”. Che grazia? Pensò lei. Poi notò che erano passati cinquant’anni esatti. Non aveva ancora finito di pensare la parola “esatti” che una voce morbida e minacciosa disse, a pochissimi centimetri dal suo orecchio: “ L’hai messo tu quello, vero?” Eleonora fece un balzo elettrico che la mandò a sbattere contro la persona che aveva parlato. Era un uomo vecchissimo e magro, che indossava un cappotto nero e una sciarpa rossa.
“Non lo sai che è proibito attaccare ex voto superflui?”
Lei annuì, preparandosi a un eventuale arresto.
“L’hai anche dipinto tu, immagino.”
“Sì.”
“Perché?”
“Quello lì è il mio ragazzo.Mentre suonava con il suo gruppo si è preso una scossa bestiale e George Harrison l’ha salvato.”
“Ah sì?”
“Era proprio sotto il suo poster.”
“E questa, secondo te, è una chiesa dedicata a George Harrison? Vedi altri ex voto per lui? È forse lui, la Consolata?”
Eleonora scosse la testa.
“No… è morto da poco tempo, credo che questo sia il suo primo miracolo…”
Il vecchio tacque per un po’, mentre lei si diceva che forse non era un Monsignore della Chiesa. In effetti, aveva ai piedi degli stivali di coccodrillo neri.
Poi, il vecchio indicò a Eleonora l’ex voto sopra il suo.
“E di quello, cosa ne pensi?”
“Che è strano. La vecchia non si è salvata, mi sembra.”
“No, infatti. Non si è salvata.”
“ E allora chi l’ha messo?”
“Io.” rispose il vecchio.
Eleonora lo guardò con attenzione, e quello che vide non le piacque per niente.
“Lei è l’assassino?” sussurrò appena.
“Brava. Somigliante, vero?”
Molto somigliante. Cinquant’anni dopo, il vecchio aveva lo stesso naso elegante e lievemente arcuato dell’uomo nel quadro.
“E che grazia ha ricevuto?”
“I gioielli della vecchia. Ne aveva una cassetta piena sotto il letto. Li aveva accumulati avidamente per tutta la vita.”
“Non cerchi giustificazioni. Lei era suo nipote?”
“No. Non la conoscevo neanche.”
“E il rimorso? Le è venuto?”
“Un po’, ma sopportabile. Non mi hanno mai sospettato, e non hanno arrestato nessun innocente al mio posto. Ho aspettato per qualche mese, poi ho venduto i gioielli e con i soldi ho realizzato la mia ambizione professionale.”
Senza accorgersene, parlando, Eleonora aveva seguito l’uomo fuori dalla Chiesa, e adesso erano nella piccola piazza laterale, buia, nevischiosa, illuminata soltanto dalla minuscola cioccolateria di fronte, un negozio giocattolo pronto per essere messo sotto l’Albero.
Il vecchio guardò Eleonora con un vago rimpianto negli occhi.
“Spero di non averti rovinato il Natale.”
“Abbastanza, sì.” Eleonora girò all’ingiù gli angoli della bocca. “ Mi dispiace per la Consolata. Avere l’ex voto di un assassino…”
L’uomo sorrise, un frullo che gli increspò solo per un attimo le rughe.
“Ci sono più cose nel concetto e nel cuore della Madonna di quelle che tu immagini, sai? Se fosse semplicemente una signora di retti principi, non avrebbe avuto questo sbalorditivo successo.”
Lei annuì, e si incamminò verso sinistra.
“Dove stai andando?” le chiese il vecchio.
“Alla ‘Bottega del Natale’. Voglio comprare un angelo per mia mamma.”
Lui la guardò, sorpreso, stringendo gli occhi. Poi annuì.
“Vado nella stessa direzione.”
Camminarono insieme in silenzio. Eleonora pensava che per tutto il resto della sua vita si sarebbe ricordata di quel giorno prima di Natale in cui aveva conosciuto un assassino.
Arrivarono all’angolo fra via Barbaroux e via Mercanti, davanti alle cinque vetrine della “Bottega del Natale”. La luce, il calore, le ghirlande, la gente dentro, il balenio d’oro e d’argento erano tanto potenti che Eleonora si sentì i polmoni che si placavano e il cuore che si distendeva come un materassino finalmente gonfio. Sospirò e alzò gli occhi per salutare l’uomo.
“Allora io entro. Arrivederci, e Buon Natale.”
Lui le aprì la porta. “Entro anch’io.”
Mentre lei passava e lui la seguiva, una commessa si precipitò verso di loro, un po’ affannata.
“Ragioniere, meno male… la signora Recchi chiedeva di lei…”
Senza neanche togliersi il cappotto nero e la sciarpa rossa, il ragioniere, da cinquant’anni padrone e creatore della “Bottega del Natale”, si mise dietro il banco, offrendo a tutti un affettuoso sorriso natalizio, dolce come i suoi occhi color fiordaliso.