Di notte, il mio collega Saverio Bertoni mi uccide.
La sera, quando appoggio la testa sul cuscino e spengo la luce, so già come andranno a finire i miei sogni. Non so che cosa sognerò, ma come andrà a finire, sì.
Sto mangiando una vaschetta di fragole, freschissime, passeggio sul marciapiede. È primavera, ho il magone in gola. Dietro l’angolo di un palazzo, dall’alto spunta Bertoni, vestito da Tarzan, appeso a una liana, con la pancetta e i ditoni dei piedi, urla, gli occhi da demonio, mi fa a pezzi con un machete.
Io a Bertoni devo tutto. È stato lui a cambiarmi la vita. Prima di conoscerlo credevo di essere chissà chi, ma la verità è che ero un artista fallito. Pitturavo le insegne dei negozi, mi arrabattavo. Ogni tanto disegnavo illustrazioni di libri per bambini, ma di rado.
Poi è arrivato Bertoni e mi ha insegnato il mestiere.
Io e Bertoni vendiamo spazi pubblicitari. Più che venderli, ce li inventiamo. Andiamo in giro per le strade, a cercare posti dove piazzare i pannelli per i manifesti pubblicitari. Scrutiamo il mondo per stanare le superfici ancora non sfruttate: “i metri quadri esibizionisti”, come li chiama Bertoni.
Battiamo strade provinciali, statali, piazzole di autostrade, stazioni di servizio. Ma anche carreggiabili di campagna, vicoli in città. “Qui si potrebbe mettere un bel cinque per dodici”, commentiamo davanti a un tramonto mestruato, sulla campagna spalancata.
Abbiamo piazzato cartelli sui sentieri delle Dolomiti, per gli escursionisti, e sulle piste da sci di mezze Alpi, frequentate dalla gente di città. Troppa natura può far male a chi non ci è abituato.
È stato Bertoni a piazzare la pubblicità sulla facciata del duomo di Breganza. Tutti a criticarlo, ma lui ha chiuso la bocca a tutti: “Preferite lasciare le vetrate del duomo sfondate? I restauri bisogna pure che qualcuno li paghi”. E poi quella trovata geniale: incastonare nel rosone del duomo, sulla facciata, una riproduzione del disco primo in classifica, aggiornandolo ogni settimana. Un cd enorme, nove metri di diametro, di plastica scintillante, con i riflessi dell’iride. Siamo onesti: quel compact disc ingrandito era più bello della vetrata originale.
La parte che mi piace di più del nostro lavoro è fare sbocciare superfici. Ci inventiamo uno spazio pubblicitario dove non c’era ancora. Poi dobbiamo fare pubblicità a quello spazio vuoto per convincere le ditte a prenderlo in affitto e a incollarci i loro manifesti. In quella prima fase non si vende ancora nulla: soltanto il pannello vuoto, metri quadrati di puro visibilio.
Conficchiamo nel mondo un’apertura, un varco, la possibilità per l’immagine di un altro mondo.
Bertoni mi ha dato fiducia. Mi ha spronato a inventare nuovi spazi. Prima di conoscerlo io mi limitavo a riempire superfici, colorarle, imbrattarle con i miei disegnini. Insegne di negozi, illustrazioni di fiabe… Immagini di nessun valore. Sporcare uno spazio già pronto, con uno scarabocchio: sono capaci tutti! Un affresco del Giudizio Universale, un graffito su un cesso: alla fine sono la stessa cosa, è solo una questione di dimensioni. Ma chi l’ha procurata l’abside, l’intonaco immacolato dove dipingere i morti risorti? Chi l’ha messa lì la porta del cesso, pronta ad accogliere sgorbi e bestemmie?
Facile, per una nuvola, galleggiare là in alto. Ma se non ci fosse il cielo? Dove andrebbero le nuvole a fare le sciantose? Io invento pezzi di cielo. Piazzo nel mondo l’alveo delle immagini, lo schermo dove proiettare i desideri.
Mi sono trovato subito bene con lui. Siamo diventati inseparabili. Mi ricordo quella convention, a Rimini, quando abbiamo fatto la dimostrazione insieme, davanti a quattrocento amministratori delegati di industrie emiliane. Per spiegare il concetto di pubblicità-taxi sono saltato in groppa a Bertoni, che mi ha portato avanti e indietro sul palco, a cavalluccio.
La pubblicità-taxi è un’idea semplice. Ci sono un sacco di merci che hanno un marchio debole. Non hanno personalità, mettono un nome sull’etichetta giusto perché bisogna. Non hanno nessuna aspirazione a diventare merci famose. Non avranno mai successo. Tanto vale che ospitino la pubblicità di altri prodotti. Non solo i marchi degli altri, ma pubblicità vere e proprie: slogan, headline. La pubblicità dei pomodori pelati stampata sui preservativi, chi non se la ricorda? “Noi sbucciamo, tu assapori”. È stata una trovata di Bertoni.
Bertoni guarda avanti. Il suo sogno è piazzare la pubblicità sulle banconote. C’è un sacco di posto sprecato, sulla cartamoneta. Spazio bianco, inutilizzato. La moneta non è il liquido amniotico dell’economia? E allora, che la culli! Che la nutra, la riscaldi. Come una mamma. Quando l’Europa capirà le opportunità che le offre la sua moneta… Tutti quei foglietti di carta che girano senza frontiere facendo pubblicità alle merci in tutto il continente…
Bertoni è quello che ha inventato gli spot immobili. Ha fatto indignare i critici televisivi, che l’hanno considerato un passo indietro. Ma Bertoni era lucido, sapeva benissimo che cosa stava facendo. Invece dei soliti spot frenetici, nevrotici, ansiosi di farsi notare con il montaggio veloce e l’audio che aumenta di volume, Bertoni ha girato spot calmi, sempre più lenti e sommessi, fino ad arrivare a immagini immobili. Praticamente diapositive.
Il suo capolavoro è stato lo spot luminoso. Quindici secondi di schermo bianco, silenzioso. Durante quello spot i televisori ronzavano misteriosi, riprendevano fiato. Non veniva spiegato nulla. Niente frasi scritte o parlate. Niente musica. I telespettatori non sapevano nemmeno che cosa si stesse pubblicizzando: una lampadina ecologica? Un solarium? Una vacanza ai tropici? Un pellegrinaggio dal papa? Un allucinogeno? Una traversata del deserto?
Le industrie hanno fatto la fila per comperare quello spazio vuoto: tutti volevano far sapere che a metterlo in onda erano stati loro. Regalavano quindici secondi di riposo ai telespettatori, rinunciavano a infliggere l’ennesimo messaggio. “Questo riposo vi è stato offerto da…”, diceva una voce alla fine dello spot luminoso.
Poi è sparita anche la voce alla fine dello spot. Le ditte hanno capito che bisognava togliere anche quell’intromissione. Offrire riposo puro, senza comunicato, senza messaggio. Pubblicità assoluta, propaganda universale, promozione di tutte le cose, amore. I consumatori hanno cominciato a comprare come pazzi, qualsiasi cosa. E le ditte trasmettevano cataste di spot luminosi. È stata una stagione esaltante, nelle case i televisori erano fari di luce bianca.
È un fenomeno, Bertoni. Sta cambiando l’economia di questo paese, e rivoluzionerà anche quella europea. E tutto questo l’ha fatto partendo come semplice installatore di cartelloni autostradali. Quante scarpinate, quanti sopralluoghi sui cigli delle strade ho fatto insieme a lui. Quanti viaggi in moto, in due, tenendoci stretti, a turno, cinturandoci per la vita, scrutando il paesaggio, alla ricerca dello spazio perfetto…
Quelli che preferisco sono i pannelli ancora vergini. Appena installati. Pareti di alluminio abbacinante: scintillano, quando riflettono il sole. Accecano. Certe volte mi sembra che stiano lì a fare pubblicità al nostro sistema solare. All’universo.
La luna. Sarebbe un pannello pubblicitario perfetto.
Quel tipo che ha tappezzato le autostrade di manifesti con la scritta: “Dio c’è”, dove voleva arrivare? Vendere Dio agli automobilisti? Sono molto più religiosi i nostri cartelloni pubblicitari ancora sgombri, appena impiantati, lucidissimi: pervasi da tutte le possibilità della visione. Tabernacoli dello sguardo.
Certe volte li teniamo così, per mesi. Non li vendiamo nemmeno, alle ditte, quegli spazi. Lasciamo i pannelli vuoti, a squillare immacolati nella campagna, a fare pubblicità all’enigma, al sogno.
L’unico posto che manca sono i sogni. L’ha detto Bertoni: “Quando riusciremo a mettere cartelli pubblicitari anche nei sogni, l’umanità sarà perfetta”.
Bisogna trovare il modo, sono sicuro che c’è un sistema per installare la pubblicità nei sogni. Ma non riesco a capire come.
Bertoni mi sprona a trovare una soluzione. Non me lo dice in faccia di giorno. Mi viene a visitare di notte, direttamente in sogno. È una persona pragmatica. Va dritto al cuore del problema. Ogni notte riscontra che nel mio sogno non c’è nemmeno un angolo di pubblicità, e mi fa fuori. Mi risveglia. Uccidendo me, distrugge i miei sogni sbagliati.
Mi ha ucciso travestito da gangster, cowboy, lanzichenecco, Jack lo squartatore, inquisitore domenicano, deputato della Convenzione, ufficiale asburgico, uomo di Neanderthal. Mi ha massacrato, squartato, sparato, accoltellato, avvelenato, ghigliottinato, annegato, fucilato, bruciato vivo, annientato. A un certo punto dei miei sogni, viene sempre fuori Bertoni che mi ammazza.
Mi sveglio nella notte, gridando per l’orrore che mi fanno i miei sogni sbagliati. Ringrazio Bertoni di avermi aperto gli occhi, nella notte.
Non ne abbiamo mai parlato apertamente. Avevo pensato di scrivergli, di dirglielo con una lettera. Caro Saverio, amico mio, giustamente tu ogni notte mi uccidi, quando ti accorgi quanto sono manchevoli, i miei sogni, senza uno spazio pubblicitario che li corregga. Senza pubblicità, i sogni sono condannati a essere soltanto se stessi. Ci vuole una pubblicità che faccia sbocciare un’alternativa, un altro mondo dentro di loro.
Fai bene. Hai ragione a fare a pezzi i miei sogni. Ma io non ti deluderò, troverò il sistema.
Bertoni mi uccide ogni notte perché si dispera dei sogni sbagliati, ingannevoli. Vaga di notte nei sogni degli altri, a fare giustizia del loro mondo irreale, che non rispecchia le cose come stanno, che illude la gente. Un mondo senza pubblicità è un mondo che non esiste. È un mondo immorale. I sogni sono immorali.
La pubblicità mostra un mondo migliore, più bello. Quanto è meschino, il nostro mondo, al confronto con la pubblicità. Anche i nostri sogni sono meschini. La pubblicità dentro i sogni ci farà sognare un sogno più bello.
Riuscirò a dare pace al mio amico. Inventerò il modo di installare la pubblicità nei sogni.
Impianteremo nuovi spazi pubblicitari nel cuore stesso dei desideri. Isseremo pannelli sgombri, senza nessun cartello, pronti per accogliere i desideri di tutti e di nessuno.
Ci ho pensato e ripensato. Ma come fare?
Una notte o l’altra sognerò Bertoni con gli occhi lustri, la bocca aperta davanti a un pannello vuoto issato sulla cima di una montagna, davanti al vasto paesaggio, un cartellone pubblicitario che copre l’imperfezione del mondo, migliora l’universo.
Stanotte tutti voi mi sognerete. Non vedrete il mio volto. Non vedrete nulla. Sarà un’interruzione pubblicitaria senza immagine, un pannello nero fra un sogno e l’altro. Uno spot completamente buio, pronto per essere venduto al migliore inserzionista. Durerà ore. Assomiglierà alla morte: proverete l’esperienza di essere morti, da vivi. Senza smettere di respirare, senza che i battiti del cuore si fermino. Sarà dolcissimo. Vi verrà voglia di voi stessi, vi mancherete. Vi mancherà tutto. Allora vi sveglierete. Salterete giù dal letto bisognosi di qualsiasi cosa. Comprerete l’aria, acquisterete i vostri respiri, i battiti del cuore. Ogni mattina vi sveglierete pronti a rivendere voi stessi, a ricomprarvi da soli.