Arrivo in Via Santa Sofia il pomeriggio del tragico epilogo, ed a colpire sono una serie di immagini, colori e spezzoni di discorsi. La gente è incredibilmente cinica, ma di quel cinismo che sembra naturale in situazioni così allucinanti; si direbbe che l’umorismo nero proprio del “Male” ed il cattivo gusto dell’amico stupido si siano fusi perfettamente, ma nessuno sia capace di restarne stupito. C’è il compagno che parla dell’impiego spropositato di blindati, la casalinga che definisce Pannella l’unico in grado di guidare un’Italia così massacrata, il solito omino – sempre uguale – che invoca la pena di morte, la bibliotecaria della Sormani che riesce a intrufolarsi – chissà come – fra i cordoni fino alla postazione avanzata dei giornalisti, che essendo così avanti si sentono anche in dovere di aumentare paurosamente le dosi di spudoratezza. Qui, a metà strada fra la Purina e il volgo, credo si consumino i riti più rivoltanti. Solo per il mio stomaco, però: gli altri leggeranno di lì a poche ore, tutti “gli attimi più drammatici della tragedia di via Santa Sofia” nella loro giusta dimensione. Appena arrivato fra gli eletti giornalisti noto che si dividono in tre gruppi ben distinti: quelli democratici, quelli no e quelli non schierati. Assolutamente non si confondono fra di loro, con l’esclusione di Walter Tobagi, che saltella da un gruppo all’altro per poi appartarsi a prendere appunti solingo, eppoi ricominciare da capo il giro; il suo articolo “di costume” sarà forse la testimonianza più viva e toccante di tutta la vicenda. Subito incontro il redattore alternativo diventato famoso ed adesso trasferitosi a Genova, che spera finisca tutto in orario di chiusura di giornale, perché i tempi del suo quotidiano sono ristretti. Mi immagino Brambilla, là dentro che si sbriga per aiutare questo poveretto, che sennò come fa. Non mancano i fotografi democratici: Walter, che credo abbia la tessera del Pci da quando è nato senza averne ancora capito il perché (non scherzo, ogni volta che glielo chiedo preferisce parlare di Cardilo o Castro e passa per la tangenziale evitando il Pcitaliano) mi aggredisce serissimo chiedendomi se questo ultimo atto di barbarie non mi abbia finalmente convinto che l’unica soluzione sia un solido governo di unità nazionale. Rispondo ridendo controvoglia: non credo che Brambilla sia entrato in quel palazzone per questo, ma i fotografi del Pci sono poco disposti allo scherzo, davanti alla prospettiva di queste svolte politiche storiche ed immediate. Walter bofonchia qualcosa sulla deportazione in massa di estremisti e sparisce fra i Carabinieri, perché “loro sono informati”. Sullâunità nazionale? Fiorenza, già da quando lavorava al Quotidiano ricordo si era fatta notare; mi fa tanta tenerezza vederla lottare quasi fisicamente con gli operai della Sip che la vogliono far scendere dal tetto di uno dei loro camioncini, dove si era rifugiata in bella vista per scrivere del Brambilla, e chissà per quale giornale. Le cade anche il cappellone, mentre lancia gli ultimi sguardi in direzione di quelle finestre. Un redattore di Radio Popolare lo vedo saltellare intorno al genitore Piero che, allevati i figli, adesso è lì per la Rai. Il redattore è invece famoso solo perché nel giorno del suo onomastico si vendono due panettoni al prezzo di uno: poche volte ho visto tanta devozione per un genitore, soprattutto nel momento in cui si sono accesi i riflettori della ripresa in diretta. C’è anche Enzo Tortora, anche lui a metà strada, fra Portobello e L’altra Campana; tutti si chiedono cosa ci faccia ed è opinione generale che di persona è molto più vecchio che in televisione. Alcuni poliziotti chiedono l’autografo, ma Enzo, dignitoso, umano, schivo e piangente rifiuta sdegnato: non gli sembra proprio il caso. Calano le prime ombre, si accendono i fari che illuminano a giorno il primo piano, mentre aumentano” gli spostamenti dei funzionari della Questura; fino ad un’ora prima dicevano che era tutto sotto controllo e dopo gli ostaggi sarebbe uscito anche lui, questo Brambilla assassino e brigatista, passionale ed eroe indiscusso di un pomeriggio freddo freddo. È strano, ma dalle quattro e mezza non da più segnali. Un maresciallo dei Carabinieri spiega a tutti i giornalisti ed ai familiari dell’ultimo ostaggio – ma lui non sa che sono lì anche loro – che questa mancanza di segnali non è poi tanto strana: “il guaglione si deve fare trent’anni di galera, e starà scopandosela”. Giuro che non ride solo lui. Arriva un’ambulanza: la sorella della donna in ostaggio, con le orecchie forse un po’ troppo lunghe, mannaggia a lei, si è sentita male. Strano movimento anche di macchine dell’Ordine, che vanno e vengono e scaricano uomini e giubbotti antiproiettili in egual numero. Sembrano lì per una esercitazione, credevo che la differenza fra una prova e una recita fosse diversa. In teatro insegnano che dev’essere la stessa cosa, e forse è moralismo pensare che la vita di qualcuno, anche se assassino, quando stai per troncarla ti debba creare dei problemi. Abbasso i cuori teneri. Un sergente viene bardato da un sottoposto, così come lo sarebbe stato un cavaliere della Tavola Rotonda; al posto della lancia impugna una mitraglietta. Forse solo allora in tanti si accorgono che bisogna smetterla di scherzare, che fra un po’ bisogna lavorare. Penne e rullini pronti, ragazzi. Walter, che la lunga militanza nel partito ha reso vigile, mi dice che sicuramente faranno un’azione di forza che calcoli anche la morte dell’ostaggio, ma tanto saranno già morti tutt’e due, perché lui, il Brambilla avrà tentato per l’ultima volta di fare il bel tenebroso ed un gesto brusco della controparte lo avrà fatto andare fuori di testa: omicidio e suicidio, dunque. Che partito e che fonti d’informazione! D’altronde ho visto e sentito abbastanza, meglio andare a casa, a me il sangue fa ancora un po’ effetto ed evito di sfruttare la grande possibilità di godermi le ultime ghiotte immagini in prima fila. Quando torno fra la gente che sta “di là” c’è chi mi chiede avido ed invidioso. Meglio stare zitti ed andare a mangiare. Noi “grandi giornalisti” siamo rotti a tutte le esperienze e per questo tanto diversi dal nostro pubblico. Ci unisce solo l’articolo, perché è qualcosa che abbiamo vissuto insieme e nel quale possiamo “ritrovarci”, poi. Via, a mangiare. La Trattoria degli Artisti è solo a qualche centinaio di metri; ora che ci arrivo non avrò neanche più i pugni chiusi in tasca e questo sguardo perso.