È abbastanza raro – credo – che un ragazzo se ne vada di casa a 13 anni. Beh, io l’ho fatto: per il tennis, ovviamente.
Intendiamoci, non è che sono scappato, ho solo cambiato città. Ho cambiato città e in un certo senso famiglia, ho cambiato vita e ho cambiato sport. In effetti sono tante cose, se ci ripenso!
Il fatto è che io non sono nato con la racchetta in mano, ma piuttosto con gli sci ai piedi: sono di San Candido, un paese dell’Alta Pusteria, praticamente sul confine tra Austria e Italia. Come tutti i ragazzi del mio paese, ho imparato a parlare (tedesco) e subito dopo a sciare. E a sciare ero abbastanza bravo. Ecco, se sei uno di quelli bravi a sciare in Alto Adige, vuol dire che sei bravo a sciare in generale. Infatti a sette anni ero campione italiano di sci. A quei tempi non pensavo tanto al tennis, giocavo giusto una volta ogni tanto. Però crescendo ho iniziato ad andare al campo a Brunico un paio di giorni alla settimana, ho conosciuto prima il mio grande maestro Heribert Mayr, poi Alex Vittur, Max Sartori… alla fine tutti dicevano ai miei che ero bravo e che avrei dovuto provare ad andare a scuola da uno dei migliori in Italia, Riccardo Piatti.
A San Candido la vita è bella, la natura è meravigliosa, e anche se molti ragazzi della zona hanno girato il mondo, credo sia difficile che qualcuno voglia davvero andare via… Però il tennis mi piaceva, e ho pensato: perché non provare?
I miei sono sempre stati gente che lavorava tanto: si occupavano di un rifugio in montagna, e mia madre per molto tempo ha avuto due lavori. Mi ricordo che, ai tempi in cui sciavo, loro lavoravano sempre e io facevo tutto da solo. Avevo sette, otto anni: la mattina andavo alle elementari, poi a pranzo dai nonni, e poi mi cambiavo per andare a lezione di sci. A pensarci, sono sempre stato un tipo abbastanza indipendente. Infatti i miei non si sono preoccupati, quando ho detto loro che mi sarebbe piaciuto andare a giocare a tennis a Bordighera. Sono 700 chilometri da San Candido, e a dire il vero ai tempi non parlavo neanche bene italiano, ma loro mi hanno detto solo: “Ok, se davvero ti piace, proviamo!”
Così abbiamo fatto quel viaggio, dall’Alto Adige quasi-Austria alla Liguria quasi-Francia.
Quando sono arrivato all’Accademia mi hanno detto che i posti erano esauriti, che avrei potuto fare un paio di giorni di prova e poi magari mi avrebbero messo in lista d’attesa. Però quando ho giocato con Riccardo, che poi sarebbe diventato il mio allenatore, dopo dieci minuti si capiva già che un po’ gli piacevo. Tre mesi dopo, vivevo a Bordighera, e ho scoperto che ero felice. Certo, mi mancava la mia famiglia, ma ho capito che ne avevo trovata una in più, quella dell’Accademia. Non mi faceva strano essere passato dalla montagna al mare. Anche perché in realtà il mare lo guardavo poco: giocavo a tennis, ascoltavo Eminem, tennis, mangiavo, tennis, dormivo, tennis. Ho iniziato a capire che poteva essere quella la mia passione, più dello sci. Mi piaceva, e mi piace ancora oggi, perché è un gioco. Non è uno di quegli sport dove fai un errore, ed è finita. Se sbagli nel tennis, in ogni caso hai perso un 15. Magari è un 15 importante, ma rimane un 15.
Insomma, a un certo punto ho deciso, e quando ho deciso, ho seguito quella decisione. Credo che rimanere concentrato su una cosa sia un tratto della mia personalità, e se fai sport è una cosa molto utile. Ero sempre concentrato sul tennis, e forse non dovrei dirlo, ma ci pensavo anche quando andavo a scuola. Effettivamente non mi sono fatto molti amici a scuola, molti di più sui campi!
Oggi non ho rimpianti, sono grato ai miei che mi hanno sempre sostenuto, e che mi hanno aiutato anche a dare il giusto peso alle cose. Ricordo che quando chiamavo mia madre, nero perché avevo perso qualche incontro, capitava che qualche volta lei mi dicesse: “Bene Jannik, ma adesso scusami, ho un sacco di cose da fare!” . Sono grato a lei, e a mio padre, perché non sono mai entrati nella mia scelta di fare tennis. Si sono fidati, e la fiducia può portarti lontano. Oggi non vedo l’ora di finire un torneo, per poter tornare a casa a trovare la mia famiglia… Anche se per loro, beh, è molto meglio quando vinco.