C’era il campone, ma il campone non era territorio per voi.
I Grandi di Quinta lo monopolizzavano dall’inizio alla fine della ricreazione per le sfide fra pari età, e a voialtri outsider fra i sette e gli otto anni non restava che stiparvi sui gradini della scuola, per assistere gioiosi come Tantalo alle evoluzioni senza fine del Tango.
Le ragazzine potevano ritmare il coro “Olio, petrolio e acqua minerale, per battere la A – o la B, la C, a seconda della sezione del loro ragazzino preferito – ci vuol la nazionale”. Le più innamorate si sgolavano per farsi notare, e magari a fare il tifo si divertivano anche. Non avevano pietà di voi aspiranti calciatori costretti al supplizio. Forse non ci pensavano, che per voi era un dolore antico, assistere ai cross e alle parate acrobatiche dei veterani. Così, senza neppure la speranza di essere chiamati a sostituire gli eventuali infortunati: alla bisogna, erano già pronti i Quasi-Grandi di Quarta.
Non vi era mai passato per la testa, come sarebbe capitato più avanti, di mettervi d’accordo e invadere tutti insieme il campone. D’altronde contro i ragazzini di Quinta, gente buzzurra e senza scrupoli come Marco Pianella o i gemelli Bellombra, non avevate mezza possibilità.
E poi c’era una consuetudine da rispettare. Il più civilizzato dei Bellombra, una volta che qualcuno aveva osato una protesta, l’aveva messo in riga ghignando: “Tranquilli che toccherà anche a voialtri nanerottoli, giocare sul campone. Basta che aspettate zitti e buoni di arrivare in Quinta”. Poi aveva sputato per terra, come si faceva per suggellare i giuramenti.
Così, piuttosto che marcire nell’attesa di crescere, stipati sui gradini spalla a spalla con le femmine che cantavano “Olio, petrolio e acqua minerale”, tu e i tuoi ex compagni d’asilo Pietro Smith e Celso Fiorini decideste di percorrere la dura via degli esuli.
Non ricordi di preciso il pomeriggio in cui abbandonaste la vostra condizione di spettatori e schiavi, ma erano settimane che preparavate l’addio al campone: non sarebbe stato, il vostro, un vagare senza meta per il giardino delle Elementari Armando Diaz, né un banale mescolarsi con i bambini dell’asilo giù agli scivoli.
“Da questo momento, siamo una società segreta” spiegasti agli altri due. “Il piccolo nucleo di un esercito che verrà”. Erano parole copiate da Pecos Bill, ma gli altri ti ascoltavano a bocca aperta. “Quando saremo abbastanza numerosi, cacceremo i grandi dal campone”.
“Parla piano” si raccomandò Pietro. “Se ci sentono le femmine, vanno a fare la spia dalla maestra”.
“Hai ragione” ammettesti in un sussurro. “Ora ci serve solo un nome e un sistema di segnali”.
“Chi sarà il capo della società segreta?” domandò Celso senza nascondere la preoccupazione.
“Adesso vediamo” prese tempo Pietro Smith. “Possiamo anche decidere domani”.
“Col pisello che mi fregate” insorse quell’altro. “Se non decidiamo subito, voi due vi mettete d’accordo sullo scuolabus, e io sono spacciato”.
“Celso ha ragione” dovesti convenire. Come aveva fatto a scoprire il tuo piano?
“Ho un’idea” disse Pietro. “Facciamo che il capo non c’è. Siamo tutti e tre uomini liberi”.
“Tutti soldati semplici, allora” ti entusiasmasti. In fondo, ti bastava che il capo non fosse lui. “Senza il generale che ci comanda”.
“All’inizio, soldati semplici” si rabbuiò Pietro. “Se uno è coraggioso merita la promozione. Mica si può restare tutta la vita soldati semplici”.
“Già” disse Celso. “Ma le promozioni chi le decide?”
“Le decidiamo insieme alla fine della giornata” scandì Pietro. “Se uno è coraggioso, gli altri lo promuovono”.
Non sembrava ci fosse nascosta sotto una fregatura, e alla fine decideste di chiamarvi Uorriors, come quelli del film. Suonava come un nome promettente, e la lettera U sarebbe stata il vostro simbolo: Pietro Smith ve la tatuò con il gesso, a metà dell’avambraccio, e Celso vi insegnò un sistema di comunicazione infallibile basato sui calzini: calzini coperti dai pantaloni significava tutto bene. Un calzino sollevato sopra la gamba del pantalone, pericolo. Tutti e due i calzini sollevati, pericolo grave.
“Perfetto. Da questo momento siamo operativi” dicesti in tono solenne. “Guai a chi proverà a intralciare i Uorriors”.
“Giusto” confermò Pietro. Lo vedeste succhiare l’aria e sputare con forza sull’erba, ma si capiva che nemmeno lui sapeva tanto bene da dove cominciare.
“So solo una cosa” aggiunse Celso osservando le sagome lontane dei Grandi di Quinta che rincorrevano il Tango attraverso il campone. “Non vorrei mai essere nei loro panni”.