Le fortezze dell’arroganza

di Gabriele Salvatores su 16 mesi - Smemoranda 1987





Avventura… Avevo una barca a vela che si chiamava “Avventura”. Parola ambigua, dai molti significati. La prima cosa che mi viene in mente quando sento la parola avventura è il pacchetto delle Camel. E non per “Camel Adventures”, ma proprio per quella piramidina con le palme e il cammellino che c’è su. Unâimmagine di paesi lontani che mi piace anche se è solo riprodotta su un pacchetto di sigarette. Anzi, proprio perché è soltanto quella di un pacchetto di sigarette. Già: oggi le vere avventure non sono dove le piramidi e i cammelli ci sono davvero, ma forse le puoi trovare con maggior facilità nel tuo appartamento, nella tua stanza, nella tua testa. E se faccio fatica a partire, allora metto una cassetta nel videoregistratore, vado al cinema, apro un libro o metto un disco. E, verso le tre del mattino, con un amico, mi invento un viaggio che non farò mai. E se i viaggi veri mi agitano con le loro appendici di valigie, bagagli, biglietti aerei – e dove si dormirà e cosa si mangerà e che malattie contagiose ci saranno e che insetti in quelle giungle e che squali in quei mari e serpenti in quei deserti – bè, le avventure sognate e inventate mi piacciono un sacco. Bisogno di avventura, necessità di avventura… “Ho avuto un’avventura con Maria…” Chissà perché si dice: “ho avuto un’avventura”… C’è, nella parola avventura, un che di misterioso, di precario, di pauroso, di emozionante… In effetti con una donna ti può capitare di addentrarti in giungle intricate, di lottare con belve feroci, di subire assalti di briganti, di compiere atti di pirateria ed è quasi sempre difficile uscirne vivo. Ma come si fa a rinunciarci? Come si fa a rinunciare ad attraversare con lei mari in tempesta su fragili vascelli, ad essere abbandonati da lei su isole deserte, a combattere con lei con archi e frecce e lance e spade anche se tutto questo avviene solo in una camera da letto? E volete negarvi quell’attimo di estraneità che vi prende quando vi svegliate di notte in un letto che non è il vostro, accanto a una donna di cui sentite il profumo nel buio? Oppure la prontezza di riflessi e la fantasia da vero avventuriero che si sviluppano a vivere giorno dopo giorno su per i sentieri intricati di un rapporto di coppia? Ah, l’avventura! La necessità di ripartire per nuove avventure che ci prende ancora! Le avventure di una o due generazioni che hanno avuto il coraggio di rischiare, che non si sono perse e che non hanno assolutamente intenzione di pentirsi di essere state avventuriere. Un’avventura collettiva che ancora non si è conclusa e che, anzi, secondo me adesso arriva il bello; perché alcuni di noi sono riusciti ad entrare nel castello incantato e faranno saltare in aria una dopo l’altra le fortezze dell’arroganza e le mura della sopraffazione. E si può fare, basta non smettere di credere. E scegliersi i giusti compagni d’avventura. I compagni d’avventura sono importanti davvero. Gli attori, i tecnici, i collaboratori che scegli orando parti per una nuova avventura teatrale o cinematografica, per esempio. Quando stendi per terra la mappa del tuo nuovo viaggio spettacolare e tutti si raccolgono intorno e si scopre, alla luce incerta delle lampade ad olio, sotto quella tenda squassata dal vento, che bisognerà aprire nuovi sentieri, che il punto d’arrivo è lontano, che si dovranno affrontare pericoli d’ogni genere. Allora i tuoi compagni d’avventura sono davvero importanti! Dovrai poter contare su di loro orando l’acqua scarseggerà o quando verrai attaccato dai nemici. Mi ricordo che la mia professoressa di italiano, quando avevo 18 anni, e scrissi, in un tema dal titolo “Cosa farai adesso?”, che avrei voluto fare teatro, mi disse: “È facile dirlo ora che non devi mantenerti da solo, ma quando avrai provato un po’ di fame e di freddo, ti accorgerai che era solo un’idea da diciottenne, finirai quell’avventura… ” Sono passati altri 18 anni e l’avventura continua. Chissà dov’è la mia professoressa d’italiano.


Gabriele Salvatores


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Smemoranda 1987


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