Mi piace essere brutto

di J Ax su 16 mesi - Smemoranda 2016





Mi piace essere brutto. Ci ho messo quarant’anni a capirlo, ma la bruttezza è ciò che mi ha permesso di arrivare dove sono ora. Se ci pensiamo bene, la bruttezza è il generatore a benzina che parte quando il talento viene oscurato dai dubbi di non essere all’altezza. Si avvia durante un’emergenza e ti aiuta a trovare motivazioni che pensavi di non avere. Perché un modello scandinavo sempre unto e guizzante in mutande sicuramente trova sempre le porte (e non solo quelle) aperte ma, diciamocelo, che voglia ha di sbattersi per lottare e costruire qualcosa, per migliorare la sua vita? La maggior parte della sua giornata sarà spesa a disegnarsi col goniometro le sopracciglia, a sistemarsi con la pinzetta – per evidenziare i pettorali – t-shirt di due misure in meno con uno scollo a V che arriva fino all’ombelico e a bloccare su WhatsApp tipe che inviano troppe foto nude. Non solo non ha fame, ma si diverte a succhiare aragoste davanti a te mentre hai i crampi allo stomaco.

Noi brutti, invece, sappiamo che se ogni tanto vogliamo bere dobbiamo metterci un secchio in testa e camminare dieci chilometri fino al pozzo alla fine della giungla. Ma a vivere così ti stufi presto, quindi lavori finché non ti costruisci una casa vista fonte oligominerale. Volete la prova? Tutti i più grandi artisti e geniali inventori sono stati oggettivamente brutti. William Burroughs? Brutto. Bill Gates? Brutto. Van Gogh? Così brutto e così spesso rifiutato dalle donne da mutilarsi da solo. Però hanno speso la loro vita a creare per illuminare l’esistenza di tutta l’umanità, cosicché i modelli svedesi potessero portare controvoglia al museo le ragazze che non vogliono uscire con noi.

Ma poi anche loro si stufano, e vengono a fare un giro sulle nostre moto, perché la bruttezza stilosa ha sempre battuto il fascismo dei visi simmetrici.


J Ax


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