Miele, cicoria e pizzini

di Piero Colaprico su 12 mesi - Smemoranda 2007





S’era stufato, eccome se s’era stufato.
Non ne poteva più di quella situazione. Tutti si stimavano una cifra con l’arresto del capomafia Bernardo Provenzano, e lui? Era l’unico a non essersi sparato nemmeno una posa in televisione.
“Basta”, esclamò il capo della polizia, scaricando un lieve pugno sulla scrivania. Aveva bisogno di una puntata “riparatrice” in tv.

“Per quando?”, aveva chiesto il direttore generale della tv di Stato.
“Per stasera e, come immagina, in prima serata. Spero non ci siano obiezioni”, aveva risposto la segretaria del superpoliziotto, mettendo giù senza attendere risposta. Tanto il direttore non avrebbe espresso alcun dissenso. Non aveva chance. Le ombre nere del Ministero, come le chiamava, avevano raccolto su di lui un dossier sin dai tempi dell’università. Quello che c’era dentro avrebbe potuto far morire d’infarto la povera mamma.

I “fascicoli Provenzano” erano ammonticchiati sulla scrivania del capo della polizia, i suoi tre vice stavano in piedi davanti al divano: “Non vada in tv, non è prudente, stiamo finendo di leggere e decodificare tutti i pizzini”, lo scongiuravano.
Parlavano bene, loro. Erano stati intervistati persino da una tele privata dell’Umbria. Ora toccava a lui prendersi i meriti. Lo disse chiaro e tondo: “Vi siete goduti la vostra passerella? Tocca a me chiudere la vicenda. Adesso, se permettete, fuori! Devo imparare la parte.”

Per prima cosa, avrebbe svelato che, che al di là di tante minchiate pittoresche…
No, non poteva dire così.
… Che al di là del lavoro d’indagine vecchia maniera, di detective nei vigneti e microspie tra gli aranci, a dimostrarsi vincente era stata una sua idea: monitorare i consumi dell’energia elettrica di mezza Sicilia. Così facendo, era finita al centro del mirino una masseria isolata che, in Contrada Montagna dei Cavalli, al terzo chilometro da Corleone, pagava bollette salate, pur risultando disabitata.
“E a questo punto dirò: non mi sono sorpreso nell’apprendere quanto i miei uomini… No, uomini no. Non mi sono sorpreso nell’apprendere quanto i miei sottoposti censivano nella tana del boss. E cioè la stufa a incandescenza per superare le fredde notti. Un televisore e il mangianastri – pensate – con la colonna sonora del Padrino, ah ah!… Ma, soprattutto, a consumare tanta corrente era la macchina Brother Ax 410, che Bernando Provenzano, prudente al sommo grado, usava da anni, per tramandare i suoi ordini attraverso i famigerati pizzini. Odiava e temeva il telefono, lui.”
Dei pizzini non avrebbe parlato subito, per far crescere la suspense.
“Racconterò che la giornata del latitante si svolgeva in tre piccole stanze e un bagnetto, con le finestre oscurate. Spiegherò che, Bibbie a parte, leggeva spesso un dizionario medico, per cercarsi il significato preciso dei suoi vari e gravi malanni. Scherzerò sul suo dentifricio a base di sale, il più amato dalle adolescenti aspiranti veline. E tornerò sull’episodio che ha più colpito la fantasia media, e cioè che i miei sottoposti hanno sorpreso il boss mentre si stava preparando un pentolino con un po’ di cicoria, la verdura di cui va ghiotto.”
Un’idea lo folgorò. Nello studio televisivo avrebbe fatto portare la cicoria, e anche la ricotta, il miele. E i pizzini. “Che cavolo, non hanno avuto il minimo scrupolo a portare in studio il plastico della casa dov’era stato ammazzato un bambino”, figurarsi che imbarazzo a mostrare qualche oggettino della vita quotidiana di un criminale sconfitto.

Chiamò la segretaria.
Che a sua volta chiamò il direttore della tv.
Che si congratulò per la “geniale scenografia”.

Il capo della polizia sarebbe stato sempre al centro della scena insieme ai pizzini. E, allo scopo di dimostrare che il contenuto non è di facile comprensione, ne avrebbe letto qualcuno:

Carissimo 7, con gioia ricevo tue notizie. Ai avuto probblemi con tua figlia, la grande o la più piccola? Nemmeno mi dici di quale soferenza trattasi… Mio caro, mi dici e non mi dici, è il rimprovero del boss al misterioso picciotto numero 7

E poi? Quale aggiungere? Li scartabellò. Massì, avrebbe mostrato un pizzino con un disegno: “Signori, questa figura anatomica, con freccia, è firmata da Provenzano. Non si tratta di velleità da artista, ma anche questo è un messaggio. Il boss voleva indicare il punto dove è solito praticarsi l’iniezione d’insulina.”
Valeva la pena di umanizzarlo? Massì, tanto lo avrebbe massacrato mostrando il messaggio sulle tangenti da pagare, uno su un omicidio da compiere e poi ce n’era uno molto adatto. Ma dov’era andato a finire? Eccolo. Lo lesse fingendo l’accento corleonese:

Devi dire agli amici che non parlano, né vicino alle macchine, o anche in casa, né vicino a case buone o diroccate.

“Verrà una bella puntata, guardami stasera”, ordinò alla segretaria e, infilati gli altri pizzini in una busta, se ne andò senza scorta a casa del vicequestore Diana Coppola, la sua amante storica. Un po’ aveva voglia di lei, e un po’ desiderava mostrare alla tv le cupe occhiaie, simbolo tangibile della sua incessante abnegazione per la sicurezza del Paese.

In televisione e al Ministero erano tutti agitatissimi. L’avevano cercato per ore senza trovarlo. Mancavano pochi minuti alla messa in onda e il capo risultava ancora scomparso.
“Quel fascio di merda – bestemmiava il direttore – m’ha supplicato in ginocchio di mettergli in piedi ’sta cazzo di puntata e mo’…” Si bloccò. L’ospite d’onore s’era materializzato nello studio.
“Carissimo, eravamo così in pensiero”, balbettò il presentatore, ma venne scostato di trenta centimetri, lo spazio giusto perché il superpoliziotto appioppasse al direttore e all’assistente di studio alcuni sonori ceffoni. I cameraman, i fotografi, il pubblico, la truccatrice, tutti guardavano da un’altra parte. “Mi perdoni”, implorava il funzionario tv. “Io non c’entro”, diceva l’assistente di studio.

Senza sprecare una parola, il capo della polizia si accomodò su una poltrona bianca e gli portarono un pregiato tavolino di ciliegio. C’erano le ciotole con il frugale cibo del Padrino, le posate, un bicchiere.
I fari si accesero. Sei ballerine trattennero il respiro.
La sigla stava per partire, quando uno dei vice, quello che più degli altri l’aveva sconsigliato a partecipare alla trasmissione, arrivò, trafelato, con una busta gialla.
“Capo…”
“Sparisci dalla mia trasmissione.”
“Abbiamo decifrato degli altri pizzini, almeno leggili. Lo dico per il bene delle istituzioni.”
Il capo della polizia si grattò la sommità del cranio completamente calvo ed estrasse dal taschino degli enormi occhiali bifocali.

Fratello mio 43, nel nome del Padre Miserigordioso, ò preso una decisione iresistibbile, l’unica speranza per la famiglia è la catura mia. Sono vecchio e come l’avvocato 25 del numero 7 a Dio piagendo potrò avere gli aresti domicciliari.

Carissimo, riferisci al 43 e al 71 l’acordo preso da chi sai con chi imagini. Tanto io non parlo, loro mi curano.

Il capo della polizia si levò gli occhiali. Incrociò lo sguardo con il suo vice, costernato quanto lui. Lesse ancora gli ultimi pizzini.

Per la Madonna Scalza madre mia nello spirito è nel cuore, meglio non rischiare di incontrare 12 e 16. Anno il desiderio assai convinto di prendere il posto del Padre, che io ero.

Perdonami per la vita che ti ho dato. Ti aspetto al coloquio quando sarà sarà. Non vedo il sole da molti, molti anni. In carcere potrò uscire almeno un’ora il  giorno e non vivere al buio, moglie mia…

Il capo della polizia stritolò gli occhiali: “Cazzo”, sussurrò.
“Li dobbiamo consegnare ai magistrati…”
“Sono gli originali?”
“Sì, capo, battuti senza dubbio con la Brother Ax 410. Sono stati rinvenuti in Contrada…”
“Sì, sssssì, grazie caro, ora mettiti tra il pubblico.”
“Ma i pizzini…”
Il presentatore sudava: “Stiamo per andare in onda…”
Il direttore giaceva svenuto dietro le quinte.
La luce rossa della telecamera s’era accesa. Il vicecapo, dando un’occhiata incerta agli ultimi pizzini appena arrivati da Palermo, s’infilò veloce tra il pubblico. Una musichetta riscaldava i cuori dei presenti, quando finirono le note scoppiò l’applauso.
“Buonasera, signore e signori, ecco a voi un uomo che non ha bisogno di presentazioni, il benamato e benemerito capo della polizia. Ci parlerà della cattura, dopo 43 anni di latitanza, di un criminale che ha colpito il nostro immaginario perché viveva da monaco, parlava di Dio, ma ha sulla coscienza stragi, omicidi, decenni di crudeltà. Abbiamo qualche amico al Ministero e ci siamo permessi, all’insaputa del nostro eccelso ospite, di far pervenire qui, nel nostro studio, alcuni degli oggetti quotidiani della vita di Bernardo Provenzano.”

Il capo della polizia, con quieta accondiscendenza, fissò la telecamera. Toccava a lui, adesso. Sorrise amichevole e, con una rapidità felina, immerse nella ciotola della ricotta i nuovi pizzini. Si levò un grido, quello del suo vice: stava però fuori della portata dei microfoni.

Il capo ingoiò un cucchiaio di ricotta, cicorino e pizzini. Masticava lentamente. Con gusto, con soddisfazione, con attenzione.
Nel silenzio totale che era sceso nello studio, sapendo di essere davanti a sei milioni di spettatori chiusi nelle loro case, usò l’unghia dell’indice per togliersi da un dente il resto di un pizzino. Lo mostrò alla telecamera numero tre e disse: “Abbiamo sempre pensato, io e i miei… sottoposti, che se avesse potuto, Bernando Provenzano, zu Binnu, avrebbe fatto così. Avrebbe inghiottito, insieme al miele, i suoi pizzini. Ma – tuonò, sollevando alla luce dei fari una manciata di striscioline di carta – questa volta non ce l’ha fatta!”

Gli applausi non lo stupirono. Sapeva di aver fatto un buon lavoro: “Fidatevi di quanto vi dico stasera. Il bene comune è il nostro primo obiettivo e presto la mafia – promise, mettendosi la mano sul cuore – non avrà più segreti.”


Piero Colaprico


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