1. 99 Luftballons!
Era una notte del tipo che andiamo adesso a descrivere al dettaglio.
Una notte di inaudita paura…
A causa di questo motivo tutti si spaventavano a morte e, salendo in cima a montagne scoscese, aggrappati ai crepacci, gridavano (come seguendo ipnotici una distorta salmodia medioevale) parole che erano sconnesse (“isfthban”, “haiankhar”, “estesedra”, “haiducimist”, “stikazzidechipsdelgildafucino”, “acciocchessiambaradakanuèdeandrè”, “oto”, “esigizkoncutellistaconha”, “ahhhhhhf”, per citarne nove, ma erano parecchie migliaia di miliardi, ché non basterebbero svariati volumi per riportarle tutte, quelle sconnesse parole), ognuno di essi stregato dal continuo ululare dei pipistrelli che prima del manifestarsi di una così pazzesca realtà gotica non avevano mai ululato, e la luna, la luna…
Ecco, questo va detto apertamente: la luna sembrava tutta fatta di sangue umano dentro una bolla atavica e celeste squartata; mandava inoltre riflessi madreperlacei striati di rosso come se un mostro l’avesse ferita a morte. Lì, ogni cratere era uno squarcio, e si barcamenava, la luna, nel cielo ubriaca e gravida di presagi icastici e veramente, subitaneamente pragmatica, e venava, con la sua luminosità sinistra e offuscata, il cielo intero di ottenebrati presagi a incombere neri!
E, nel delirio continuo delle catene dei morti senza redenzione che si trascinavano nella stanza di Michele M., lavoratore co.co.pro di Cesano Maderno, l’innumero frastuono della follia della stanza satura di fantasmi alle 4 di notte del 24 dicembre 2006 scaraventò la testa del protagonista della nostra storia fuori dalle lenzuola in cui si era sepolto per il terrore che già lo rese madido, facendogli urtare con il cranio la foto autografa di Monica Bellucci che aveva comperato su Ebay (oggetto 1002349876689) a cinquantadue euro più otto di spedizione per un totale di 60 euro, con certificato di garanzia COA nrf. “Elec 220”.
Il certificato, di cui Michele era molto fiero (permettendo esso agli amici che l’avessero visto, con la sua concreta esistenza, l’immediata verifica dell’autenticità della firma di Monica Bellucci), era stampato su un cartoncino color rosa salmone, molto elegante, e recava la seguente scritta:
Certificate of autenticity
Description
Artist: Monica Bellucci
Photo: “GQ” (Italian ed.)
Title: “Black Velvet”
Year: 2004
This “10×12” signed* photo was signed By Monica Bellucci and None Other. Our guarantee is to provide 100% customer satisfaction with the item purchase or your many back.
*Signed in person: Rome, Festa del Cinema, Oct. 2006
In fondo in basso, a destra, c’era inoltre scritto:
Copyright © 1998-2006
Landofcollectibles.com
&
The Mummy Girl Gallery.
Michele aveva sempre pensato che avere sopra il suo letto una foto così fantastica della bellissima Monica Bellucci (ritratta in questo caso seduta su un divano, di profilo, a seno nudo: il suo), una foto firmata dalle stesse mani di Monica Bellucci, fosse per lui l’auspicio di una vita ridondante di gioie che la visione di quell’immagine gli ispirava subitaneamente ogni volta che la guardava.
Ma quel 24 dicembre 2006, qualcosa stava cambiando.
Michele, turbato per l’incredibile vicenda accaduta a Erba l’11 dicembre dello stesso anno, da alcuni giorni, specialmente prima di addormentarsi, pensava spesso, preoccupato, all’assurdità del senso della vita.
Pure Michele, dopo aver pensato un po’a questo fatto dell’assurdità del senso della vita, osservava scrupolosamente la foto di Monica Bellucci e la preoccupazione gli passava.
Ma quella notte, l’inesorabilità del Fato lo colpì attraverso lo stesso simbolo di buon auspicio, da lui acquistato su Ebay, proprio sulla testa, e qualcosa di arcaico e soprannaturale (il delirio continuo delle catene dei morti senza redenzione, l’innumero frastuono della stanza satura di fantasmi, che pure Michele non avvertiva, avendo lasciato acceso lo stereo in loop con la splendida canzone Come into my World di Kylie Minogue a palla) lo stava per trasportare in un’altra dimensione priva di gratificazioni esorbitanti.
Michele, la faccia madida di sangue, i pezzi di vetro che proteggevano l’immagine della splendida attrice (nata il 30 settembre 1964 in Umbria a Città di Castello, PG. Dopo la maturità classica si iscrive a giurisprudenza con l’intenzione di diventare avvocato, ma il suo ingresso nel mondo della moda, attività cominciata con l’intento di pagarsi gli studi, la assorbe fin da subito in una molteplicità di impegni. Nel giro di un paio di anni, insomma, è costretta a lasciare l’università per dedicarsi a tempo pieno alla sua carriera, che prende il volo nel 1988 quando Monica si trasferisce a Milano per essere arruolata nella famosa agenzia “Elite”, conquistando in breve tempo le copertine delle maggiori riviste di moda. A Parigi la rivista Elle le dedica diverse copertine e la consacra al mondo internazionale delle top model. Un anno dopo la Bellucci debutta a New York, fotografata da Richard Avedon per la campagna della Revlon “Most Beautiful Women” e diventa la protagonista di una serie di campagne per Dolce e Gabbana, i quali la eleggono a vera e propria icona della donna mediterranea. Ma a Monica Bellucci il ruolo di modella, malgrado il successo, va stretto, tanto che nel 1990 tenta la strada della recitazione. All’apice della carriera di modella, incontra Carlo Vanzina che, colpito dall’espressione intensa del suo sguardo e dal suo fisico mozzafiato (è vero, l’ho vista dal vivo quando l’ho intervistata per il Corriere!) la presentata a Dino Risi, autentico mostro sacro del cinema italiano. Ed è proprio col celebre maestro della commedia all’italiana che nel 1991 gira il film Tv Vita coi figli, assieme a uno straordinario Giancarlo Giannini. Quell’esperienza, malgrado sia legata alla sola televisione, le apre comunque molte porte e la Bellucci comincia a capire che il cinema può diventare davvero un’aspirazione icasticamente realizzabile. Ecco dunque che, sempre nel 1991, è protagonista de La riffa di Francesco Laudadio e interprete in Ostinato destino di Gianfranco Albano. Nel 1992, invece, il gran salto internazionale che la proietta direttamente a Hollywood: ottiene infatti una parte nel Dracula di Francis Ford Coppola. Sempre nel 1992 gira Briganti di Marco Modugno con Claudio Amendola e La Bibbia di Robert Young con Ben Kingsley, una produzione Tv Rai/USA. Nel 1994 gira Palla di Neve di Maurizio Nichetti, con Paolo Villaggio, Leo Gullotta e Anna Falchi. Nel 1995 approda nuovamente al cinema internazionale con un ruolo di protagonista nel film L’appartement di Gilles Mimouni in cui conosce l’attore Vincent Cassel, suo futuro sposo e compagno di numerosi film, come ad esempio Méditerranées e Come mi vuoi. Nel 1996 un importante riconoscimento le viene dalla Francia: riceve un “Cesar” come miglior giovane attrice promessa per il suo ruolo nel film L’appartamento. Nel 1996 è co-protagonista in Le doberman di Jan Kounen, film che fu visto a Milano, in anteprima, da Tiziano Scarpa e Aldo Nove lo stesso anno. Nel 1997 è la volta di L’ultimo capodanno per la regia di Marco Risi – tratto dal primo racconto di Fango di Niccolò Ammaniti, scritto prima del successo inusitatamente estremo di Io non ho paura – per il quale nel 1998 riceve il Golden Globe, premio della critica straniera come miglior attrice italiana. Nel 1998 gira la commedia noir Comme un poisson hors de l’eau di Hervé Hadmar. In Spagna Monica ottiene grande successo di pubblico con il film spagnolo A los que aman di Isabel Coixet. Sempre nel 1998 Monica gira come protagonista femminile il film noir Frank Spadone di Richard Bean con Stanislas Mehrar e a Londra gira un cortometraggio dal titolo That certain something di Malcom Venville recitando in inglese. Tra il 1999 e il 2000 l’abbiamo vista in Under Suspicion, accanto a Gene Hackman e infine come protagonista nel film di Giuseppe Tornatore Malena. Attrice ormai ampiamente riconosciuta e affermata, si è definitivamente scrollata di dosso il riduttivo ruolo di modella. Nel 2003 è tornata alla ribalta a livello mondiale per la sua – seppur marginale- interpretazione del personaggio di Persefone in Matrix Reloaded, secondo capitolo della saga fantascientifica dei fratelli Wachowski. Dopo La Passione di Cristo di quel nazista folle di Mel Gibson, in cui interpretava Maria Maddalena, Monica Bellucci ha dedicato il 2004 alla sua maternità, conclusasi il 12 settembre con la nascita di Deva, nome di origine sanscrita che significa “divina” perché vorrei vedere, la figlia di Monica Bellucci. Monica Bellucci oggi come oggi risiede a Parigi con il marito Vincent Cassel) sparsi tra le lenzuola, non riusciva a capacitarsi del reale.
Aveva sì letto, Michele, da giovane, Jacques Lacan, spulciando nei volumi degli “Scritti” dell’Einaudi la sua teoria dell’intreccio irredimibile tra simbolico, reale e immaginario (prima dell’introduzione, nel seminario XXIII, del concetto di “sinthomo” come elemento di raccordo tra i tre campi, almeno così come ce lo ha riportato Jacques Alain-Miller, il curatore delle opere dello psicoanalista scomparso, nel volume: Pezzi staccati edito da Astrolabio, che del Seminario XXIII è commento) ma non ci aveva capito nulla.
Michele aveva fatto il linguistico e poi un anno di lettere moderne, non aveva gli strumenti per capire Lacan, che richiede una buona conoscenza della storia della filosofia (con particolare riguardo a Platone e Hegel), della psicanalisi ma anche nozioni di sociologia, logica e matematica pura, oltre la lettura pressoché integrale di Levi Strauss, Althusser e Kojeve.
Quella notte il reale, che per lo psicoanalista francese è l’impossibile, gli appariva a pezzi, come a pezzi era il quadro che conteneva l’immagine della sua attrice preferita.
Michele, il volto coperto di lacrime e sangue, estrasse con delicatezza da quello che rimaneva della cornice la fotografia di Monica Bellucci e l’osservò con un’attenzione che prima non prestò mai a nessuna immagine; neppure a quella, la sua preferita: era l’attenzione dell’orrore e difatti, sul volto bellissimo dell’attrice, vide spuntare due canini appuntiti che evocavano orribili dimensioni.
Gridando, Michele aperse o aprì il cassetto dove teneva custodita, in una busta della Tea riciclata, il certificato COA dell’autografo di Monica Bellucci, esaminò con cura pure quello e non ci mise molto a verificare che i caratteri con cui era scritto erano in “Century Gothic”. Capì che tutto era gotico. Urlò a squarciagola. Il suo urlo si mischiava al canto solitamente supersensuale di Kylie Minogue, che nel frattempo aveva assunto le tonalità di un’orrenda vecchia che ripeteva all’infinito “Come into my World of Nightmares”.
Innanzi a lui si manifestò allora pienamente il delirio continuo delle catene dei morti senza redenzione che si trascinavano quella notte nella stanza, e lo invitavano nel mondo privo di speranza dei morti.
Fuori, tutti si spaventavano a morte e, salendo in cima a montagne scoscese, aggrappati ai crepacci, gridavano (come seguendo a malapena una distorta salmodia medioevale) parole che erano sconnesse (“isfthban”, “haiankhar”, “estesedra”, “haiducimist”, “gogosprtskfanfanaì”, “acciocchessiambaradakanuè”, “oto”, “esigizkoncutellisticonha”, “ahhhhhhf”, per citarne nove, ma erano parecchie migliaia di miliardi, ché non basterebbero svariati volumi per riportarle tutte, quelle sconnesse parole), ognuno di essi stregato dal continuo ululare dei pipistrelli. A Michele sembrò di ricordare.
Era come se tutto fosse un racconto che si avvolgeva a spirale su se stesso. Un racconto incongruo e spaventoso di cui lui, lavoratore co.co.pro di Cesano Maderno, nato a Cornaredo il 19 gennaio 1967, era il protagonista. Un racconto gotico che andiamo adesso a descrivere nelle sue fasi salienti.
Michele, svenne dicendo: “99 Luftballons!”
Era una notte di inaudita paura.
2. Risucchiato dal vuoto
La realtà di tutti i giorni era svanita.
Michele fu trasportato in un non luogo senza tempo, come nei sogni.
Dinnanzi a lui Monica Bellucci immortalata in un quadro di fine Ottocento, vestita da principessa con al collo una parure di diamanti in mezzo alla quale faceva mostra di sé uno zaffiro rosso e rosso era il colore che lampeggiando attorno a lui trasfigurava il mondo di Michele che lentamente avanzava verso quello strano quadro.
Michele era vestito con un completo blu, la camicia bianca e una cravatta a righe color blu e argento.
Procedeva imperterrito, stupito.
In un attimo si ritrovò in un cimitero, davanti a un’umile tomba scoperchiata.
La bara, non c’era.
Sulla lapide, riusciva a distinguere a malapena il nome di “Carlotta”.
Come spinto da una forza irresistibile si avvicinava sempre di più a quella tomba, arrivandovi proprio davanti.
Guardò dentro.
Il vuoto.
La sua faccia sconvolta, staccata dal corpo, iniziò a procedere velocissimamente verso il nulla come proiettata da una serie di fasci luminosi ora verdi, ora rossi, ora gialli, ora marroni.
Il suo volto divenne presto verde.
Poi vide se stesso cadere dall’alto, come una sagoma nera priva di forze che andava a schiantarsi sul tetto di una chiesa di una missione americana.
La chiesa svanì.
C’era solo la sua sagoma sempre più lontana.
Risucchiata dal vuoto.
Bianco.
Un attimo prima di morire.
Lungo più di tutta la sua esistenza.
Michele si risvegliò urlando.
Si ritrovò in un ospedale buio.
La testa fasciata.
Il volto fasciato.
Respirava a malapena.
3. Come in un crepuscolo indistinto
Odore di cloroformio. Michele non sapeva più chi era. Gli sembrava di essere in quell’ospedale da sempre. Non sapeva cosa gli fosse successo. Solo flash, brandelli sconnessi di memoria.
Monica Bellocci vestita da principessa.
La parola “Carlotta”.
Il tetto di una chiesa americana.
I lampi di luce.
Una infermiera si avvicinò a lui. Gli misurò la febbre e gli chiese come andava. Michele provò a rispondere, ma emise solo un rumore sordo, gutturale. Non poteva vedere nulla. Era interamente coperto di bende a parte due fessure in corrispondenza del naso, degli occhi e della bocca. Michele non riusciva a distinguere il volto dell’infermiera. Gli sembrava che tutto fosse buio. Come in un crepuscolo indistinto. L’infermiera si sedette accanto a lui. Iniziò a imboccarlo. Era una minestrina che gli procurava soltanto disgusto ma aveva fame.
Deglutiva.
Per un po’ si calò nei suoi pensieri. Incongrui. Gli venne in mente una puntata di La prova del cuoco in cui Antonella Clerici quasi litigava con Vissani per una questione su come marinare le trote. Oppure Barrichello e Schumacher che si abbracciano quando a Indianapolis, nel 2002, il pilota tedesco lasciò l’onore del podio più alto al collega di scuderia brasiliano. Ma allontanò quei pensieri troppo incongrui per la sua disperata condizione. Si concentrò sul sapore della minestrina. Poi ebbe un’immagine molto chiara del tetto della chiesa su cui stava cadendo. Infine gli apparvero i fantasmi che si trascinavano per il suo appartamento, morti senza redenzione, e si alzò ritto sul letto, facendo cadere a terra il cucchiaio che l’infermiera gli stava porgendo. La donna disse: “Ecco, ci risiamo” e corse fuori dalla camera. Michele aveva un mal di testa fortissimo e non riusciva più a distinguere il sogno dalla realtà.
4. Rifugio nella preghiera.
Michele aveva paura.
Una paura primigenia, assoluta. Quella della preda davanti al cacciatore che gli punta l’arma in volto. Quella di chi sta per morire.
Iniziò a pregare. Pregò la Madonna. Aveva buoni motivi per farlo. La madre di Dio, al termine della sua vita terrena, afferma il dogma proclamato da papa Pio XII il 1° novembre 1950, venne trasportata, anima e corpo, in Cielo (venne “assunta”, ricevuta, in Cielo), sulla scorta del convincimento dell’antichità cristiana di un somnium Mariae (sonno di Maria) anziché di una morte vera e propria.
Pertanto al momento della conclusione della sua vita, momento chiamato anche “Dormizione”, ella ricominciò subito a vivere, con il suo corpo risorto, nel Paradiso, accanto a suo Figlio Gesù. A Gerusalemme vi sono due luoghi che la tradizione collega alla sua morte: la chiesa della Dormizione, sul monte Sion, posta nel luogo in cui Maria si sarebbe “addormentata”, e la chiesa della Tomba di Maria, nella valle del Cedron, dove gli apostoli avrebbero deposto il suo corpo, per poi ritrovare la tomba vuota. Secondo un’altra tradizione, invece, Maria avrebbe seguito l’apostolo Giovanni a Efeso e lì sarebbe morta.
La definizione di questo dogma non fu causata da una controversia, ma sanzionò una credenza che era già diffusa nel primo millennio, e infatti essa è ritenuta anche nelle Chiese ortodosse (la cosiddetta dormizione di Maria), pur senza essere da esse definita come dogma.
Tutto questo, Michele lo sapeva benissimo.
Non sapeva perché lo sapeva, ma lo sapeva. E allora iniziò a pregare: “Ave Maria, piena di grazia, il signore è con te. Tu sia benedetta tra le donne e benedetto è il frutto del seno tuo Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte, amen”.
E poi daccapo: “Ave Maria, piena di grazia, il signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del seno tuo Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte amen”. Michele avrebbe voluto recitare l’intero rosario, ma non sapendo più che giorno era non sapeva neppure a quale mistero riferire le sue orazioni. Così proseguì con la terza Avemaria: “Ave Maria, piena di grazia, il signore è con te. Tu sei benedetta tra le donne e benedetto è il frutto del seno tuo Gesù. Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte, amen”.
In quel momento rientrò l’infermiera con due medici. Con estrema difficoltà Michele si rivolse loro per chiedere che giorno fosse, così da poter recitare il rosario secondo i crismi richiesti dalla sua insostenibile situazione umana. L’infermiera gli si avvicinò. I medici presero a parlare tra loro.
5. L’operazione
“Sta molto male”.
“È la febbre”.
“Tenteremo per l’ultima volta. È la quarta volta che l’operiamo”.
“Certo non è bello per nessuno essere un mostro”.
“Tutti questi incubi”.
“Ieri diceva di chiamarsi Michele”.
“Michele. Poi parlava di una certa Monica Bellucci”.
“Chi è?”
“Non lo so. È pronta la camera operatoria?”
“Sì. Tra poco lo portiamo”.
“Dio mio. Nascere mostro. Vivere in una vita immaginaria. Per quarant’anni. Sempre nello stesso ospedale. Ormai i tessuti del suo volto si sono logorati. Non potrà resistere ad altri interventi. Speriamo che questa volta funzioni. Se funziona, potrà avere un volto come tutti gli altri, e iniziare la vita normale di tutti”.
“Oppure sarà costretto a rimanere in questa stanza, per sempre”.
“Andiamo”.
Due infermieri sollevano Michele dal letto e lo mettono su una barella. In quel momento Michele ricorda. È un mostro. Ricoverato da sempre in un ospedale. La sua vita è sempre stata una successione di incubi, tra i quali il peggiore era quello di essere un lavoratore co.co.pro di Cesano Maderno.
Sente il rumore del carrello che lo trasporta, vede le luci al neon sul soffitto. Qualcuno lo addormenta.
6. La verità.
Il canto degli uccellini risveglia Michele. Michele aveva sempre amato l’armonioso canto degli uccelli. Studiosi di varie Università hanno preso in esame il canto degli uccelli: fisici dell’università di Buenos Aires hanno rivolto la loro attenzione al cervello di alcune specie di passeri americani (Zonotrichia capensis e Z. leucophrys) e hanno capito che i canti di questi uccellini sono prodotti da semplicissimi circuiti presenti nel cervello. I neuroni dedicati ai suoni sono strutturati in pochi circuiti (uno superiore e altri due più semplici) che comandano i movimenti dei polmoni e della siringe che è l’organo di canto degli uccelli. Quando questi neuroni si mettono in moto per emettere dei suoni, gli impulsi del circuito superiore inibiscono o stimolano ciclicamente gli altri; in questo modo si producono suoni complessi a partire da elementi molto semplici.
Un’infermiera gli si avvicina.
Michele ne intravede solo l’ombra.
È ancora offuscato dall’anestesia.
Inizia a togliergli le bende.
Con delicatezza.
Una dopo l’altra.
Fino a che anche l’ultima cade.
L’infermiera strilla.
Scappa.
Michele si alza.
Si avvicina allo specchio.
Si guarda.
Non è un mostro.
Assomiglia a James Stewart in Vertigo.
7. Nell’eterna ripetizione
Michele si precipita per i corridoi dell’ospedale come il protagonista di un episodio di Ai confini della realtà, la serie televisiva ideata da Rod Serling e che vide tra gli sceneggiatori Richard Matheson e Ray Bradbury.
Lì gli si avventano contro due medici. Hanno i volti da demoni. Sono i morti senza redenzione che si trascinano nell’universo d’orrore in cui Michele è incappato, come gli altri, vivendo.
Da sempre.
Nell’eterna ripetizione.
Michele si libera dei due medici con la forza della disperazione.
Con un bisturi sottratto a uno dei due, recide loro la gola.
Un altro medico vicino di stanza si precipita verso di lui ma prima che possa fare qualunque cosa Michele gli è addosso, e dopo averlo malmenato lo accoltella.
La moglie del medico, sulle scale, ha sentito tutto.
Michele la uccide.
Esce dall’ospedale.
Sale su una macchina.
La prima che trova.
Ha voglia di un panino.
Vuole andare a prenderlo da Mac.
È in viaggio.
Guarda la luna.
Sembra fatta di sangue umano.
Guarda le persone.
Sono tutti mostri. Lui solo. Lui solo non è un mostro.
Nella semplicità della vita che come tutti ha sempre condotto e conduce. Parcheggia la macchina. Ordina da mangiare e (finisce, anzi continua, così)…