Il paese tenta di distendersi sulla riva del Po. L’umidità si aggira per le strade in cerca di vittime. Uomini e donne si tuffano nei bar provvidenziali, ad asciugarsi i pensieri.
Sull’argine la strada non tradisce, è retta come una suora, e dove comincia la curva, si affaccia curioso il bar della curva.
La Peugeot color “Voglia di vernice” zampetta tossendo fra i sassi.
Nell’abitacolo, una forma di vita di razza femmina, di nome l’Agata, di fatto bibliotecaria, si sporge sul vetro per via del fitto velo che annebbia l’abitato.
“Vacca di una vacca…” mormora l’Agata “Non si vede un’ostia! E sono anche in ritardo”.

In ritardo su tutti i fronti, con sospetto di maternità, l’Agata deve tornare dal suo amore operaio edile, per non dire muratore.
Lui ha un nome, ma tutti lo chiamano “Il Fassista”, soprannome acquisito, per contrasto, dopo anni di militanza nel partito della falce e martello.
Il Fassista ha 50 anni, e un sussidio, l’Agata è sui 43. Un figlio, loro, non l’hanno mai avuto.

Che sia la volta buona? O che sia la menopausa, nemica dei passeggini?
Tutto questo elucubra, l’esile bibliotecaria, mentre la Peugeot tossisce più del solito e poi si ferma ad ansimare.
L’Agata scende con cautela, facendo attenzione ai rumori, visto che la nebbia oscura le forme.
Da un lato c’è il Po, dall’altro il ciglio, e dopo il ciglio, c’è una luce, forse un faro, forse una macchina ribaltata nella scarpata.

L’agata indossa il giubbotto arancione e scende verso la luce, ma non è un faro, è il sole.
Sì, c’è come un buco nel velo di caliggine man mano che ci si addentra, la luce si allarga fino a fare giorno pieno.

Biancospini in fiore, insetti rumoreggianti, uccelli in vena di spiritosaggini, tutto è ridente e fuori stagione.
“Vacca di una vacca! Ma non è mica primavera! E poi, ‘sto posto non l’ho mica mai visto! Sta a vedere che ho avuto un incidente e sono morta!”
“Non sei morta, sei solo riuscita a vedere qualcosa più del solito.”
Una figura di donna, vestita di lungo, se ne sta seduta su di una panchina lucida.
L’Agata fa per scappare, ma quella la trattiene: “Aspetta, Agata, io ti devo solo fare un annuncio, il figlio che per tutta la vita hai aspettato, è finalmente giunto.

Sei incinta di un maschietto.”
L’Agata è davvero imbestialita: “Senta lei, io non la conosco e non le ho chiesto niente. E comunque non è un bel modo questo, di prendere in giro la gente. E ad ogni modo, potrebbe anche farsi una valanga di cazzi suoi!”

Corre la bibliotecaria, col viso paonazzo più del giubbotto, suda e s’arrabbia e cerca l’amata nuvola bianca, protettrice dei timidi. Rientra nel buio, su per la scarpata, accanto alla vecchia Peugeot.
Si rintana nella macchina e guarda spaventata in direzione della luce, che ora non c’è più.
Venti minuti dopo l’auto arranca verso l’agognato garage e l’Agata sale in fretta le scale.

Il Fassista è stravaccato davanti a Mazzocchi, che parla di calcio dal televisore a 14 pollici. L’Agata respira rumorosamente.
“Dove casso sei stata? E’ due ore che aspeto!”
“Potevi cucinarti qualcosa, se non arrivo cosa fai? Stai senza mangiare?”
“Ma che facia hai? Sembri un zombi!”
“E’ che ho visto la Madonna.”
“Brava, le hai chiesto la schedina di Domenica?”
“Si, fai lo spiritoso tu! Ma io l’ho vista davvero.”
“Beata la tua fantasia che hai. E io, intanto che eri a farti i cassi tuoi, ti ho preso un po’ di telefonate.”
“Chissà che fatica, chi era?” “Le tue amiche, a turno.”
“Va be’, vado a farmi una doccia e ti preparo qualcosa, aspettami sul divano, so che sarà difficile.”
“Ostia, che ridere! Ah, senti, ha chiamato anche il dotore, ha visto le analisi, dice che sei incinta.”
“Incintaaa?!”
“Lui dice di sì.”

L’Agata ora piange nella doccia e si accarezza la placida pancia.

Il Fassista è inghiottito dal divano, mugugna ombroso; non è d’accordo con Mazzocchi.


Natalino Balasso


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Smemoranda 2006


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