“Ma chi l’è che l’ha posteggià quel rutto giapponese nel mio spazio?”, urlò Saverio Marna, amministratore e delegato della Marna & Marna.
Nell’immenso cortile di una cascina del Settecento ristrutturata e trasformata in tecnologico show-room il custode balbettava, in cambio non ebbe nemmeno un grugnito. Saverio prese dal portabagagli della sua jeep una mazza da baseball e, soppesandola, sfondò il vetro posteriore dell’auto parcheggiata,spaccò i fanali, ammaccò le portiere, incavò il cofano e quando un giovane bassino, con un completo scozzese, si precipitò con le mani alzate, come per implorare pietà, emise un sospirone,dando l’ultimo colpo allo specchietto retrovisore.
“Ma che ha fatto? Lei è…”.
Non gli lasciò il tempo: “Ioooo soooono Saverio Marna, sì,e questo è il mio posto della mia Mercedes modello unico. Vedi che c’è la “r” su tutta questa fila. Che significa? Riservatoooo,l’hai capito adesso? E tu, sciacquino, chi sei?”.
Il bassino deglutì: “Sono il figlio del vostro concessionario per la Puglia, dottor Marna. Papà è malato, io faccio il primo anno d’università ed ero venuto qui per acquistare circa tremila…”.
“Non me ne fotte niente. Cognom e nom, dai, come ti chiami?”.
“Vito Putignane. Sarei sceso subito, soprattutto se avessi saputo che era lei”.
“Non mi piace che ti umilii da solo, devo farlo io… Cheschì son trenta miliuni, compratene un’altra, di ‘ste macchinette da pezzente”.
Gli infilò l’assegno nel taschino della giacca e andò a sedersi sulla gigantesca Mercedes. Era la prima volta che si toglieva un simile sfizio, che bello vedere il ragazzo far manovra ingoiando bile.
Passarono mesi frenetici, il fatturato della holding dei Marna sfioravai 3mila miliardi, le azioni erano state sospese per eccesso di rialzo cinquegiorni di fila e Saverio, entrando nell’immenso cortile, canticchiava allegro,finché non notò una Ferrari parcheggiata di traverso, sulle sue due “r”. Quella vista aumentò la sua felicità.Chi aveva osato? Pigiò l’acceleratore, 40, 60, 80 all’ora, a 100 il muso rinforzato della sua Range Rover accartocciò la linea elegante della Ferrari, mentre un omettino, piccolo e scuro, che gli sembrava di conoscere, gli correva incontro.
“Ma lei non doveva tornare domani, mannaggia alla miseria…”,si lamentò Vito Putignane.
“Faccio quello che voglio in casa mia, giovane. Ma non t’ho già spaccà quaicoss?”.
“Sì, l’auto di papà e ora questa, la mia”. Quasi piangeva.
Marna ghignò: “Dunque, un Ferrari così vale lire 230 milioni, nuovo. Okay, il prezzo è giusto per fartelo portar via dal carro attrezzi”. Disse lanciando un assegno da 150 milioni al figlio del rappresentante, accasciato e paonazzo nel grande cortile.
L’assegno venne incassato subito, ma solo il quarto giorno arrivò un uomo grasso, pochi capelli unti, senza denti, su una vecchissima 132 Fiat. Era così ubriaco da non riuscire a montare il cavo di traino.
“Ma alluuura!”, urlò una voce che fece scattare tutti. Era Saverio Marna, sceso in cortile, scuro in volto, che sbraitava contro l’intruso: “Ma che razza di meccanico è lei?”.
“Chi, io? Parl’ammè? Non tengo na meccaneria, tengo o sfasciacarrozze”.gli rispose il panciuto.
“Uè, non mi dica che questa macchina qui è da buttare…”.
“Beh, l’aggio accattata per cinq cento mille lire, dopo un incidente tangestiale, e o motore sta màghina non lo tien più, i assi so rotti, e chiano chiano la volevo rimettere a posto, ci misi pe’ bellezza e gomme, quando venne uno, un guaglione pugliese, gentile, a chiedermi sece l’affittavo per fare o scherzo, e mi dette una milionata per gli eventuali danni. Rideva, mi raccontò che voleva vedere se uno era così babbascione da incazzarsi pure a seconda volta”.