Ogni adulto è un bambino andato a male

di Aldo Nove su 12 mesi - Smemoranda 2011





Erano le sette di sera.
I miei genitori si trovavano in cucina, adulti come tutti i genitori.
Come tutti gli adulti parlavano delle cose di cui parlano i grandi, con la serietà di chi è arrivato al centro del mondo e della vita, e la loro voce non mi piaceva.
Ma in fondo, avevo pensato, loro due altro non erano che me stesso invecchiato in anteprima.

Io sapevo di essere un bambino e sapevo di avere un privilegio che mai avrei voluto perdere.
Era la mia fantasia che mi teneva vicino al mondo quando il mondo tutto per intero non c’è ancora, ma è pieno di cose che si possono aprire come una sorpresa. All’inizio del mondo, all’inizio di ogni cosa la paura e l’immaginazione spalancano la terra come una voragine. Allora cadi dentro un’avventura. È ancora tutta da percorrere, la strada, quando sei bambino.
Ed è una strada piena di mistero.
E dal basso porta verso un alto sorprendente e meraviglioso da scoprire.
Ma quell’avventura gli adulti non la capiscono e ne hanno paura.

Da bambino ogni cosa è meravigliosa.
Ad esempio quando ero molto piccolo ero convinto che ogni città avesse il corrispettivo opposto dall’altra parte del mondo, ad esempio che se c’era Milano a mezzogiorno da una parte della terra in piena attività dall’altra parte c’era una Milano a mezzanotte dove tutti dormivano. Ovviamente ero convinto che esistessero diversi personaggi di cui mi avevano garantito l’esistenza, come Babbo Natale, e a volte ne subivo anche l’invadenza, come quella di un certo “uccellino blu” che mi avrebbe costantemente controllato durante le assenze dei miei genitori. Svolgevo lunghissime conversazioni con l’uccellino blu. Credevo che il papa potesse volare a suo piacimento, come mi aveva raccontato mio cugino di pochi anni più grande di me entusiasta di una sua lettura sulla vita dei santi. Ed ero convinto che la posta collegasse tra loro tutte le buche delle lettere con un sistema a propulsione pneumatica sotto le case, una sorta di rete postale sotterranea. Quando una mattina vidi il postino che apriva la buca delle lettere e mi spiegò il più prosaico funzionamento delle poste l’atto di spedire una lettera perse per me un po’ di magia.

Quel giorno, dal tono della voce dei miei genitori in cucina capivo che per loro l’avventura di vivere era diventata l’abitudine di una cosa qualunque. In quella cosa c’era il mondo formato ed era in quel mondo che da me bambino i miei genitori volevano ancora raccogliere quanto di ingenuo da me proveniva. Erano golosi di me, del loro bambino, come fosse miele: perché era lui a insegnare loro il mondo, come si fa a guardarlo nel modo migliore.
Come all’inizio di un viaggio.
Solo chi ci è appena arrivato lo sa e lo vive, solo chi non ha paura di morire la può attraversare guardando quello che succede con lo stupore di vederlo davvero.

Io non ero abituato alla morte anche se era il mio prima.
Prima non ero niente.
Da quel niente venivo.
Prima non so cos’era.
Ero come una confusione universale da cui un giorno ero approdato, come tutti, nascendo.
Poi la nave prende il largo, e sempre più il mare si restringe e la nave si arena.
Non è infinito il mare, se lo attraversi, sembravano dire i miei genitori e tutti gli adulti con loro.
La nave, a metà del suo percorso, sono i grandi che parlano in cucina.
I grandi che dormono con i loro segreti.
Ovunque si siano arenati.
I grandi visti dai bambini sanno di un immenso dolore che è dato loro guarire appena un poco, se li guardi profondamente negli occhi, quasi per distrazione, se li convinci alla distrazione: se riesci a entrare dentro le barriere che si sono costruiti.
Sono invischiati in verità che non sono fiabe.
Hanno questo mistero che ai bambini sembra spaventoso.
Il mistero delle cose che si possono fare, solo quelle: il mistero di quello che è giusto nel mare piccolo della loro vita. Ho sempre pensato che gli adulti fanno figli per imparare dai bambini tutto quello che crescendo hanno dimenticato di sapere, e a furia di non pensarlo lo hanno perso del tutto. Perché i grandi non sono più padroni dei loro pensieri.
Potremmo dire che ne sono pensati.
Loro chiamiamo questo “responsabilità”.
La “responsabilità” è un pensiero più forte di te, e con l’età le responsabilità arrivano a frotte. Una responsabilità dei grandi è approntare con tutti i crismi il mito di Babbo Natale.

L’occasione in cui io e i miei genitori ci incontrammo, faccia a faccia con le opposte visioni del mito di Babbo Natale fu abbastanza drammatica. Io avevo cinque anni e avevo deciso di incontrare Babbo Natale. Lo volevo cogliere in fragrante e regalargli io qualcosa. Così la notte di Natale ho aspettato che i miei fossero a letto da un bel po’ e cercando di fare il meno rumore possibile, al buio, mi sono spinto fino in sala dove mi sono nascosto sotto il divano con un sacchetto pieno di giocattoli da dare a Babbo Natale appena sarebbe arrivato. Sotto il divano era molto buio e si stava scomodi e il sacchetto di giocattoli m’ingombrava. Devo essermi agitato molto perché presto ho sentito la voce dei miei genitori dalla loro camera. Ho capito che si erano accorti che c’era qualcuno in sala e che non era Babbo Natale. Con tutta evidenza io mi agitavo sempre di più perché dalla camera dei miei genitori ho sentito mio padre dire a mia madre qualcosa del tipo “Ci sono i ladri” e poi mia madre “Vai a controllare”. Allora ho cercato di stare il più fermo immobile sotto il divano, quasi senza respirare e si accese la luce, c’era mio padre con la pistola che diceva “chi c’è qui?”. Allora dal divano ho detto quasi piangendo che ero io e volevo fare una sorpresa a Babbo Natale, mio padre mi ha detto di venire fuori da lui e ha bofonchiato qualcosa sulle sue responsabilità e sulla mia incoscienza.

Ogni adulto è un bambino andato a male a causa delle responsabilità e con infinita rabbia e nostalgia mette a sua volta al mondo dei nuovi bambini per ricordarsi di quando bambino era lui, con in più la responsabilità del dominio assoluto sul suo nuovo bambino che prima di diventare grande scopre i sogni e come si fanno o come all’improvviso finiscono diventando qualcos’altro.
Ogni padre, ogni madre, è per il figlio un dio che il bambino vede decadere nelle sue innumerevoli responsabilità.


Aldo Nove


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