La breve vita di Euridice era stata recisa dal morso di un serpente. Il suo sposo Orfeo errava per luoghi disabitati sotto il peso invincibile dell’amore caduto, quando gli apparvero due donne:una dall’aspetto gelido e divino, una dalle sembianze cangianti come un fruscio di anime confluenti e opposte. Quest’ultima gli si rivolse: “Orfeo,Orfeo. Vieni con me, questo è il tempo del coraggio”. Le sue parole si tessevano in un filo che era bello veder nascere in mezzo al nulla.”Orfeo, io sono Prima Volta. Sono l’azzardo nemico delle probabilità e dei conti, sono Avventura. Vedi quell’antro buio? Per quella via ti accompagnerò nell’Ade, se vorrai riprendere Euridice”.
L’altra parlò, e la sua voce aveva il gelo delle orbite di pianeti lontani: “Non andare, Orfeo. Io sono Nessuna Volta, regina della paurae del divieto. Non osare oltre il lecito: le conseguenze sarebbero terribili.Tu non lo farai”.
Turbato, Orfeo guardò Nessuna Volta e Prima Volta; poi si lasciò guidare dal filo ed entrò nella grotta che portava al regno dei morti.Le donne lo seguirono scivolando nel vento insieme al loro mistero. Orfeo scese fino al cuore oscuro della Terra e, giunto al cospetto di Ade e Persefone,chiese indietro Euridice. Intonò un canto struggente come un tramonto già acceso di stelle. E la voce era il vento rosso che passava tra scintilla e scintilla: l’aquila di Prometeo si distolse dal crudele pastoal ricordo dei compagni di nido, Sisifo si fermò sedendosi sul suo masso, le terribili Furie – incredibile a dirsi – piansero, mentre gli alberi anneriti da stagioni dolenti si protendevano in ascolto. 
Il dio degli inferi, commosso ma risentito per l’improvvisa memoria di emozioni così rare nel suo regno, puntò lo scettro verso la donna dallo sguardo gelido. E quella testimoniò così il volere di Ade:”Orfeo, Orfeo. Questo non è il tempo del coraggio. E’ il tempo dell’ubbidienza. Sono Nessuna Volta, Orfeo. Io ti libererò dal fardello delle scelte e delle responsabilità, governerò i tuoi pensieri.Sono la Regola, non mi metterai in discussione. Potrai ricondurre Euridice tra i vivi, ma andrai avanti da solo e lungo il cammino non ti volgerai verso la tua sposa, o la perderai ancora”.
Accettò, cos’altro poteva fare Orfeo? Sulla strada del ritorno il giovane già si tormentava: e se Ade avesse voluto vendicarsi con un trucco? Perchè non udiva respiro nè passo alle sue spalle?Dov’era Euridice? Come essere sicuro di averla veramente dietro di sè?Il dubbioso Orfeo fu raggiunto dalla donna cangiante: “Guardami, Orfeo.Ora sono Seconda Volta. La ripetizione, il ritmo. Io sono il segno della volontà: una rozza colonna di pietra in mezzo all’erba puòessere uno scherzo del vento, ma due colonne indicano il passaggio di una civiltà, di un’armonia di intelligenze. Di dubbi. Perchè io non sono solo Armonia, sono anche Incertezza. E tu hai bisogno di conferme,lo vedo. Voltati, Orfeo. E’ il dubbio che vi rende umani, facendovi amaregli altri – di cui avete bisogno, tutti – e non la fredda e morta perfezione.Io sono la vita, la ricerca famelica di continuità, lo spazio di incessante domanda tra un battito del cuore e il successivo. Non èallo stesso tempo così fragile ed eterno tutto questo?”
Orfeo si voltò. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse. La sventurata rispose. O Romeo, Romeo! Perchè sei tu Romeo? Eva colse la mela.Paride volle Elena e Pinocchio saltò sul carretto per il Paese dei Balocchi. Lo scorpione punse la rana – pazzo, ora annegheremo entrambi -non posso farci nulla, è la mia natura. Seconda Volta diventò Ultima Volta.
E Nessuna Volta rise con sprezzo dell’avversaria, di Orfeo e della vanità del tutto. Ma Ultima Volta chiamò suo figlio, Ricordo. 
E Nessuna Volta non aveva figli.
E Ricordo cominciò a cantare della passione che sfida la morte, e delle scelte sbagliate che generano le storie care ad ogni anima ribelle,e degli amori che sarebbero nati al sentire il racconto di Orfeo, e dell’attimo in cui Euridice – sì, c’era Euridice – guardò Orfeo così come si saluta ciò che sta per sparire, così come si salutanole scintille arancione di un falò sulla spiaggia quando la notte e il mare uniscono i loro colori scuri, attraversati dalle volontà brucianti di piccoli animali che cantano, sulla sabbia e nell’acqua, la canzone ostinata dei viventi coi battiti diversissimi di cuori randagi e senz’altra legge che la vita stessa.


Giuliano Aluffi


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Smemoranda 2001


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