Isabel, Pedro, Anthony e altri diciassette africani furono sbarcati nel 1619 sulle coste della Virginia da una nave negriera olandese.
Erano i primi, in una colonia inglese d’America.
Nello stesso tempo un veliero britannico sbarcava novanta fattrici: non vacche, donne; destinate a far figli, a popolare di bianchi un territorio che già si era permesso, cinque anni prima, una guerra che aveva portato alla distruzione della colonia francese di Port Royal e alla resa degli olandesi di Manhattan.
Ma non è quella la data d’inizio della tratta degli schiavi.
Nell’anno 1600, secondo John D. Fage, nelle Americhe, in aree con bianchi non anglofobi, c’erano già oltre trecentomila neri. I primi erano giunti solo undici anni dopo il fatidico 1492, l’anno della scoperta o, se si preferisce, l’anno zero dell’invasione del Nuovo Mondo.
I trasporti più importanti, nel XVI secolo, furono quelli delle spedizioni Hawkins del 1562, 1564 e 1567.
Nelle sue famose lezioni sulla storia afro-americana, Malcolm X segnalò che una di quelle navi si chiamava Jesus e che gli autori dei primi spirituals, quando cantavano ritornerò a Jesus, non si riferivano affatto al Cristo redentore ma a quella nave, che aveva portato via i loro avi dall’Africa e che in Africa, un giorno, avrebbe dovuto riportare il popolo africano. Ben prima delle spedizioni Hawkins, già nel 1526, c’era stata una grande rivolta nera nell’America del Nord, in un’area che corrisponde all’attuale South Carolina e che, all’epoca, ospitava un insediamento spagnolo comandato da Lucas Vasquez de Ayllon. Che i neri fossero gente sottomessa, incapace di ribellarsi e quindi naturalmente destinata alla schiavitù era una delle grandi menzogne dei bianchi.
Cominciò dunque nel XVI secolo e raggiunse l’apice nel XVII quel commercio triangolare che avrebbe arricchito l’Europa e i coloni ed ex-coloni europei, che avrebbe consentito l’accumulazione dei capitali necessari per il decollo dell’industria moderna dell’Occidente bianco dominatore: dall’Europa partiva la nave con mercanzie che sarebbero state cedute ai capi africani in cambio dei loro prigionieri di guerra, guerre spesso provocate ad arte dagli europei. Con questi schiavi la nave faceva rotta per le Americhe, scambiava gli africani con i prodotti agricoli e minerari. Al rientro in Europa, nei primi tempi, la vendita dell’ultimo carico portava a quintuplicare il capitale inizialmente investito.
Si armavano nuove flotte. le merci ora erano indirizzate alle postazioni coloniali del continente nero; più che comperare i prigionieri dai capi, ormai, si razziavano i villaggi, si sequestravano ragazze e ragazzi.
Spedizioni ben più affollate muovevano verso l’America e milioni di schiave e schiavi vennero sbarcati sulle sue coste. La produttività americana aumentava vertiginosamente e così il valore e il volume delle merci trasportate in Europa. I profitti, dopo ogni triangolazione, crescevano a ritmo esponenziale.
Dopo aver depredato l’Africa della sua gente i cominciò a rastrellare sistematicamente le ricchezze naturali. Ma restiamo alla tratta: di volta in volta la si volle giustificare moralmente. Ed ecco che si scoprì che africane e africani “non avevano l’anima” o che “Dio li aveva destinati al lavoro dei campi”. Per la successiva colonizzazione, si parlò di “civilizzazione” prima, di “aiuti allo sviluppo” poi.
Oggi si tratta (Thatcher, Bush, De Michelis) di “impegno positivo per le riforme in Sudafrica…”
E le popolazioni originarie delle Americhe? Gli “indiani”? Già, non ne abbiamo parlato. Ma a che pro parlarne?
Dopo la cura d’urto del mondo bianco, civile e cristiano, sono in pratica scomparsi dalla faccia della terra. Come i Khoi e i San della penisola del Capo di Buona Speranza, d’altra parte.
Come la maggioranza del mondo sottosviluppato, che non è tale per carenza di sviluppo ma perché è stato coscientemente sottosviluppato, così la maggioranza dei popoli estinti, o drasticamente ridotti, non ha conosciuto involuzioni naturali: è stata, puramente e semplicemente, estinta. Sul suo sudore e sul suo sangue si è costruita la ricchezza del grande potentato bianco. Sarebbe ora di cominciare a restituire.
Erano i primi, in una colonia inglese d’America.
Nello stesso tempo un veliero britannico sbarcava novanta fattrici: non vacche, donne; destinate a far figli, a popolare di bianchi un territorio che già si era permesso, cinque anni prima, una guerra che aveva portato alla distruzione della colonia francese di Port Royal e alla resa degli olandesi di Manhattan.
Ma non è quella la data d’inizio della tratta degli schiavi.
Nell’anno 1600, secondo John D. Fage, nelle Americhe, in aree con bianchi non anglofobi, c’erano già oltre trecentomila neri. I primi erano giunti solo undici anni dopo il fatidico 1492, l’anno della scoperta o, se si preferisce, l’anno zero dell’invasione del Nuovo Mondo.
I trasporti più importanti, nel XVI secolo, furono quelli delle spedizioni Hawkins del 1562, 1564 e 1567. Nelle sue famose lezioni sulla storia afro-americana, Malcolm X segnalò che una di quelle navi si chiamava Jesus e che gli autori dei primi spirituals, quando cantavano ritornerò a Jesus, non si riferivano affatto al Cristo redentore ma a quella nave, che aveva portato via i loro avi dall’Africa e che in Africa, un giorno, avrebbe dovuto riportare il popolo africano. Ben prima delle spedizioni Hawkins, già nel 1526, c’era stata una grande rivolta nera nell’America del Nord, in un’area che corrisponde all’attuale South Carolina e che, all’epoca, ospitava un insediamento spagnolo comandato da Lucas Vasquez de Ayllon. Che i neri fossero gente sottomessa, incapace di ribellarsi e quindi naturalmente destinata alla schiavitù era una delle grandi menzogne dei bianchi.
Cominciò dunque nel XVI secolo e raggiunse l’apice nel XVII quel commercio triangolare che avrebbe arricchito l’Europa e i coloni ed ex-coloni europei, che avrebbe consentito l’accumulazione dei capitali necessari per il decollo dell’industria moderna dell’Occidente bianco dominatore: dall’Europa partiva la nave con mercanzie che sarebbero state cedute ai capi africani in cambio dei loro prigionieri di guerra, guerre spesso provocate ad arte dagli europei. Con questi schiavi la nave faceva rotta per le Americhe, scambiava gli africani con i prodotti agricoli e minerari.
Al rientro in Europa, nei primi tempi, la vendita dell’ultimo carico portava a quintuplicare il capitale inizialmente investito.
Si armavano nuove flotte. Le merci ora erano indirizzate alle postazioni coloniali del continente nero; più che comperare i prigionieri dai capi, ormai, si razziavano i villaggi, si sequestravano ragazze e ragazzi. Spedizioni ben più affollate muovevano verso l’America e milioni di schiave e schiavi vennero sbarcati sulle sue coste. La produttività americana aumentava vertiginosamente e così il valore e il volume delle merci trasportate in Europa.
I profitti, dopo ogni triangolazione, crescevano a ritmo esponenziale.
Dopo aver depredato l’Africa della sua gente i cominciò a rastrellare sistematicamente le ricchezze naturali. Ma restiamo alla tratta: di volta in volta la si volle giustificare moralmente. Ed ecco che si scoprì che africane e africani “non avevano l’anima” o che “Dio li aveva destinati al lavoro dei campi”. Per la successiva colonizzazione, si parlò di “civilizzazione” prima, di “aiuti allo sviluppo” poi. Oggi si tratta (Thatcher, Bush, De Michelis) di “impegno positivo per le riforme in Sudafrica…”
E le popolazioni originarie delle Americhe? Gli “indiani”? Già, non ne abbiamo parlato. Ma a che pro parlarne?
Dopo la cura d’urto del mondo bianco, civile e cristiano, sono in pratica scomparsi dalla faccia della terra. Come i Khoi e i San della penisola del Capo di Buona Speranza, d’altra parte. Come la maggioranza del mondo sottosviluppato, che non è tale per carenza di sviluppo ma perché è stato coscientemente sottosviluppato, così la maggioranza dei popoli estinti, o drasticamente ridotti, non ha conosciuto involuzioni naturali: è stata, puramente e semplicemente, estinta.
Sul suo sudore e sul suo sangue si è costruita la ricchezza del grande potentato bianco.
Sarebbe ora di cominciare a restituire.