La camicia mi si appiccica addosso come un adesivo. Mi sento sporco e sudato. Attraverso le strade senza guardare. Centinaia di motorini suonano e mi scansano a passo d’uomo. C’è odore di polvere e diossina e cannella. Una ragazzina in pantaloncini mi dice nice price e si batte una mano sul sedere e sorride e mi dice bum bum.
Sento degli schiamazzi. Guardo in un passaggio scuro che apre su un cortile interno. Gli schiamazzi sembrano arrivare dal fondo del cortile, ma non capisco da dove. C’è un antro scuro, e in fondo un cancello di legno mezzo rotto. Quando arrivo davanti al cancello sbuca da dietro le doghe un tipo che mi guarda male e mi dice qualcosa. Vuole diecimila dong. C’è un forte odore di carne e zucchero raffermo.
Dopo il cancello c’è un altro piccolo cortile. Il pavimento è in pietra e umido, ci sono pezzi di verdura spappolata e una vecchia se ne sta affacciata a un balcone a fissarmi. Gli schiamazzi adesso sono meno forti, e vengono da un altro androne davanti a me. Quando mi affaccio vedo solo un muro di schiene. Una semplice lampadina bianca appesa al soffitto illumina appena la stanza e il fumo ci galleggia in mezzo come nebbia. Mi avvicino al muro di schiene e capisco che è una piccola platea disposta in cerchio. Due uomini sulla sinistra del cerchio stanno trascinando per terra una persona di cui faccio in tempo a vedere solo le gambe. Un signore davanti a me si volta, mi guarda un secondo perplesso e torna a guardare avanti.
Dopo qualche secondo un tipo che sta parlottando con un capannello di persone se ne va al centro del cerchio, fa cenno a un ragazzetto di avvicinarsi e urla qualcosa. Il ragazzo è magro e porta solo dei calzoncini neri e mentre il tipo continua a parlare lui si scalda e muove il collo e le braccia e guarda un punto fisso e lontano. Il tipo accanto a lui smette di parlare e le persone in cerchio iniziano a mormorare e guardarsi intorno.
Sento un fischio uscirmi dalla bocca. Ho alzato anche la mano. Tutti gli sguardi e i volti si girano verso di me e d’un tratto non si sente un sospiro. Appena mi rendo conto di aver davvero fischiato penso di sentire un attimo di paura, o se non altro di sorpresa, ma non sento niente.
Dopo qualche altro secondo di silenzio scoppiano tutti a ridere e iniziano a gridare e sventolare soldi. Il tipo accanto al ragazzo mi guarda e ride e mi chiama vicino a lui. Quelli con cui parlottava prima tirano fuori dei blocchetti bianchi e iniziano a scrivere e raccogliere soldi come forsennati. Le persone davanti a me continuano a ridere e si aprono per farmi passare. Il ragazzo continua a stare serio e scaldarsi il collo e le braccia e guardare un punto lontano davanti a sé.
Rimango fermo qualche secondo a guardare il ragazzo che si scalda e il tipo che ride e mi chiama con la mano, lì d’un tratto davanti a me, in fondo a un breve corridoio di vietnamiti. Guardo sulla destra. C’è il tipo che poco prima si era voltato per guadarmi. È uno dei pochi che non ride. Infilo la mano in tasca, tiro fuori le sigarette e l’accendino e gliele passo. Lui le prende e annuisce e non dice niente.
Mentre mi avvio verso il centro della stanza mi inizio a sbottonare la camicia e noto come cambino le prospettive e come tutti sotto la luce siano più sinistri. Dopo aver lanciato scarpe e camicia da una parte, mi prendo un braccio e lo tiro bene davanti al petto, poi faccio lo stesso con l’altro. Saltello e muovo il collo da una parte all’altra.
Dopo un minuto o due il tipo di prima grida qualcosa, e qualche momento più tardi i suoi amici fanno segno che basta così e smettono di prendere soldi. Quelli ancora in coda non dicono niente e si rimettono ammucchiati in cerchio con gli altri. Il tipo grida di nuovo ancora qualcosa e tutti si mettono in silenzio. Il ragazzo si volta verso il centro del cerchio e sempre saltellando fa qualche passo indietro. Il tipo mi guarda e dice anche a me di arretrare. Faccio due o tre passi indietro e mi metto a meno di un metro dal muro di uomini. Il ragazzo adesso è voltato verso di me, ma continua a fissare un punto lontano. Il tipo alza le braccia in alto, guarda me e il ragazzo, poi batte le mani insieme e corre veloce indietro fino a mischiarsi con gli altri.
Il ragazzo finalmente mi guarda. Ha gli occhi molto neri. Faccio due passi avanti con la mano sinistra allungata. Il ragazzo fissa prima me poi la mia mano allungata, e dopo un attimo ci batte la sua sopra. Qualcuno inizia a gridare qualcosa.
L’ultima cosa che faccio in tempo a notare è la gamba sinistra del ragazzo che sale come una fionda e colpisce piena la mano che ho attaccata al mento. Poi sento solo colpi esplodermi in faccia come granate. Vedo qualcosa che mi si avventa contro e sento un mattone frantumarmi la bocca e una serie di tronchi cadermi sul torace.
Quando riapro gli occhi sono in terra. La gente intorno ride tutta. Un tipo tira su la mano del ragazzo. Mentre mi rialzo, con la lingua sento che uno dei denti di sotto si sta staccando.
Grido qualcosa. La gente intorno si zittisce e il tipo che alzava il braccio del ragazzo si ferma. Mi infilo una mano in bocca e stacco il dente che dondola. È piccolo e rettangolare e pieno di sangue, e strapparlo non ha fatto poi così male. Lo butto da una parte e sputo del sangue per terra, poi faccio segno al ragazzo di venire avanti.
Il tipo accanto al ragazzo mi guarda un momento: sembra preoccupato, poi ride e scuote la testa e se ne torna in mezzo agli altri. Il ragazzo torna a fissarmi dritto negli occhi e ritira su la guardia. Prova di nuovo a partire con quel suo calcio secco, ma questa volta mentre mi arriva a destinazione parto con una gragnola di ganci. Le braccia si incrociano, ma le mie sono più lunghe e per fortuna riesco a prenderlo con un largo gancio sinistro. Gli arriva bello duro tra lo zigomo e l’orecchio e il ragazzo fa due passi indietro. La gente intorno si cheta un secondo, poi si rimette a gridare più forte di prima. Vado avanti e mi metto a combattere come facevo una volta: diretti su diretti, fino a stare male, fino a sentire dolore alle spalle e pensare di non farcela più. Appena rallento il ragazzo mi si scaraventa addosso e mi si aggrappa al collo e prova a darmi una ginocchiata e mi colpisce duro con la testa. Questa volta riesco a tirare giù la testa in tempo e mi prende pieno sulla fronte. Vorrei lanciarlo lontano, ma riesco solo a farci cadere tutti e due in terra. Lo stringo più forte che posso e l’unica cosa che mi viene da fare è riempirlo di testate. Lui mi si gira dentro come un’anguilla e si libera e riesce a mettermi un gomito sul collo e mentre con l’altro gomito scende verso la mia tempia faccio appena in tempo a liberarmi. Mi prende di striscio sopra la testa e mentre svicolo indietro per rimettermi in piedi lui schizza su e mi inizia a riempire di calci. Ne affonda uno nel torace e sento un dolore secco che spero non sia una costola rotta. Non so dove prendo il coraggio di girarmi e avventarmi sulle sue gambe. Mentre lo tiro giù sento una grandinata di sassate cadermi sopra la testa e per un attimo penso a quando domani mi passerò la mano nei capelli e sentirò tutti quei bozzi e chissà cosa penserò. Quando lo sento cadere inizio a menare colpi in alto alla cieca e ne sento affondare uno nel costato e uno sfiorare il mento. Mi pare per un momento di sentire un suo sospiro più forte e riesco a liberarmi e schizzo di nuovo in piedi con la guardia alta.
Anche lui schizza subito in piedi e ci ritroviamo di nuovo uno di fronte all’altro, con la guardia alta, a fissarci negli occhi. Chissà da dove viene questo ragazzo, e che fine farà. Vedo che ha un occhio gonfio e mi chiedo quando l’ho preso. È molto sudato e sembra meno sicuro.
Ci rincamminiamo incontro e prima ancora che sia a tiro gli mollo due jab da lontano e senza manco pensarci parto di nuovo con una gragnola di diretti. Lui si infila sotto e inizia a menare ganci più veloce che può. Anche io tiro ganci su ganci, e qualche montante. Tento di non andare indietro e sento qualche colpo cadermi di striscio sul volto. Poi un gancio destro mi atterra secco sul mento, mi spedisce la testa all’indietro e mentre già sento che sto volando per terra e che mi sta spegnendo un attimo la luce sento il mio pugno sinistro colpire qualcosa, e colpirla bene. Non me ne ero nemmeno accorto, ma mi era partito un largo gancio sinistro che mentre cado indietro va a colpire il ragazzo pieno nella guancia destra e lo fa volare a un metro di distanza.
È solo un attimo, lo so io e lo sa lui. Forse essere giovani non è altro che questo: quell’impercettibile vantaggio capace di anticipare il mondo. Quando sento i muscoli ripartire il ragazzo è già in volo su di me. Ma sorrido: non attacca solo per finirmi, ma per fermarmi. Poi capisco che è finita e chiudo gli occhi e dopo una ventina di legnate tirano via il ragazzo e chiudono l’incontro.
Quando mi alzo la gente è tutta intorno agli allibratori a raccogliere i soldi delle scommesse. Il ragazzo prima di uscire viene lì e mi dà la mano e fa un cenno di assenso con la testa. Si tiene una mano sul torace e ha un occhio malmesso, e quando si avvia fuori mi sembra che zoppichi. Il tipo che ci ha fatti combattere viene da me e mi dà la camicia e le scarpe e mentre mi passa un asciugamano sporco e bagnato mi molla due o tre pacche sulla schiena, poi si gira verso un suo amico, gli dice qualcosa e mi mette in mano trecentomila dong. Li prendo e ringrazio e mi passo l’asciugamano sul viso. È tutto pieno di sangue.
Quando esco rimango qualche minuto a guardare le centinaia di motorini che mi corrono davanti. Mi passo l’asciugamano bagnato sul viso. Chissà se Nhung quella sera mi chiederà niente.
Ogni tanto esce qualche signore dall’androne e mi guarda e annuisce. Lì da una parte c’è anche il signore a cui avevo lasciato le mie sigarette e l’accendino. Viene avanti e me le rende e mi guarda negli occhi e annuisce, poi se ne va. Mi accendo una sigaretta e rimango a fumarla lì davanti al traffico che passa.
Prima di tornare a casa passo da Moi-An. Quando mi apre non dico nulla e le metto in mano i trecentomila dong, poi mi vado a stendere. Ci sono un sacco di vietnamiti. Lì, stesi come me su quelle stuoie, sembrano più piccoli del solito.