Invece questa volta mi ha rivolto la parola, e mi ha detto: “Mi potresti aiutare tu?”
Non potevo crederci. 1) Che mi rivolgesse la parola. 2) Che chiedesse aiuto a me.
Ma devo cominciare dall’inizio, se no non si capisce. Mio figlio ha compiuto diciotto anni tre mesi fa. Si chiama Gianluca. Se cliccate qui vedete le sue foto più recenti. Non è un bel ragazzo. Se cliccate qui capirete perché non è bello. Mi assomiglia. È la cosa che mi rimprovera da sempre. Cioè, non da sempre. Da quattro o cinque anni. Da quando ha cominciato a guardare le ragazze, e le ragazze hanno continuato a non guardare lui. L’unica ragazza che lo guarda ogni tanto è sua sorella, Manuela. Per lei niente link. Non posso mostrarvi le sue foto perché è minorenne. E poi sono suo padre, sono geloso di lei, col cxxxo che vi mostro le foto di mia figlia. Comunque, dicevo che ogni tanto Manuela guarda suo fratello maggiore. Lo guarda e scuote la testa, sconsolata.
Questa storia comincia una sera a tavola. Io e mia moglie Roberta (che potete vedere qui – per favore, cliccate e guardate, ho messo anche le foto al mare, c’è un topless: magari a qualcuno piace. Dovesse farsi avanti qualcuno, troverà in me l’alleato migliore. Posso dargli consigli su come va trattata mia moglie, basta che se la porti via), ecco, ci sono ricascato, il mio vecchio vizio di aprire parentesi, mia moglie dice che sono pedante, che non so mai seguire il filo del discorso. Per questo mi sono messo a scrivere qui. Scrivo qui in rete perché voglio che sia come parlare in pubblico davanti a una sala piena, senza potermi correggere. Io adesso scrivo in pubblico come davanti a una sala piena, anche se per la verità è vuota (in effetti non c’è nessuno che mi sta leggendo), lo sapevo, ho ricominciato a divagare, ha ragione mia moglie. L’avete guardata? Avete visto le foto? Mi viene in mente adesso che potevo essere più furbo. Potevo mettere un link falso, tipo Scarlett Johansson nuda. Ma ormai non posso cancellare. Questa app è speciale. Ti posta le parole in rete mentre scrivi. Non serve premere Invio per postare. Si posta parola per parola. Allora, stavo raccontando che io e mio figlio non abbiamo un buon rapporto. Il nostro rapporto è: 1) lui non mi sopporta; 2) io mi umilio.
Gianluca non va bene a scuola. È l’ultimo della classe. È una cosa che mi costa ammettere, ma è la verità. Adesso ne dirò un’altra che mi costa ancora di più. Io ero il primo della classe. Lo so che non si direbbe, da come scrivo. Ma bisogna tenere conto che sto improvvisando. Sono frasi buttate giù così, un po’ alla cxxxo. Voi come ve la cavereste con la prima stesura, senza poter correggere? Sapreste fare di meglio? Scrivo per addestrarmi, per imparare a essere meno pedante. “E perché – direte voi – ti addestri rompendo i cxxxxxxi a noi?” (avrò contato giusto per mettere le x? Devo fare così perché questa app mi censura le parolacce. Me l’ha scaricata mio figlio Gianluca, mi ha spiegato che è un’app che è stata programmata dal seguace di una setta, non so bene quale setta, ma praticamente la loro religione predica la massima trasparenza, bisogna dire sempre la verità, perciò hanno programmato questa app che è fatta in modo che tu scrivi e ogni parola che batti va direttamente in rete, però soltanto dopo che la parola è stata approvata dal correttore automatico, ma essendo un’app programmata da un tipo molto religioso ti censura le parolacce, non parliamo poi delle bestemmie; che poi bisogna vedere che cosa si intende per parolacce e bestemmie: nella mia religione personale “guerra” è una bestemmia, ma quest’app non la censura, e nel mio galateo personale “ormai” è una parolaccia, e neanche questa viene censurata, per non parlare di “parola”, la peggiore delle parolacce, ma a pensarci bene tutte le parole sono parolacce, bisognerebbe scriverle tutte cxxì, tutte quante, dxxxa pxxxa axl’uxxxxa) (ma perché, perché non riesco a fare a meno di divagare?!?).
Ci riprovo. Allora, mio figlio Gianluca, maggiorenne da pochi mesi, non studia. Ma improvvisamente un mese fa si è messo a studiare come un matto. Che cos’era successo? “Che cos’è successo?” gli ho chiesto una sera che Gianluca si è portato i libri a tavola, a cena. Vorrei sottolineare questa scena (ma si può sottolineare una scena? Voglio dire, non solo le parole. Si possono sottolineare le immagini? Magari caricando i colori, saturandoli). La scena da sottolineare è questa: di solito Gianluca viene a cena il tempo che basta ad arraffare quello che c’è in tavola, si prende il suo piatto, prende una lattina di Xxxxxxxxx® dal frigo e si porta tutto in camera, per continuare a videogiocare o chattare o farsi le. Mia figlia Manuela lo guarda e scuote la testa. Invece da qualche giorno Gianluca non solo cenava insieme a noi, ma si portava i libri in tavola, per continuare a studiare anche mentre mangiava. “È successo che fra tre giorni ho il compito di italiano,” mi ha risposto (ci ho messo venti righe per arrivare alla risposta che Gianluca ha dato alla mia domanda “Che cos’è successo?” che gli avevo fatto venti righe fa, prometto che d’ora in poi sarò più rapido a raccontare il resto del dialogo fra me e mio figlio) (cxxxo, oxxxi non posso cancellare la parentesi precedente, l’avevo scritta per impegnarmi a essere più rapido e invece ho peggiorato le cose) (e neanche la prec– basta!). “E quando mai sapere di avere un compito ti ha spinto a studiare eccetera eccetera?”, gli ho chiesto. “Questa volta si vince grosso.” Non sapevo se l’espressione vincere grosso fosse gergo giovanile. “È gergo giovanile, vincere grosso?” “Eh?” “No, dico, che cosa vuol dire vincere grosso con un compito in classe? Farsi promuovere in un colpo solo?” “No. Vuol dire vincere un premio molto importante.”
Ve la faccio breve (sto migliorando? È la prima volta che uso quest’app). C’è questo sponsor che finanzia la scuola. Come mai uno sponsor a scuola? Perché le scuole sono alle cozze. Non hanno più soldi per comprare libri per la biblioteca, per comprare gli attrezzi per i laboratori di scienze, per comprare la carta igienica per i bagni. E neanche per pagare le pulizie. Non hanno più soldi. L’altra settimana siamo andati noi genitori a fare le pulizie a scuola, perché altrimenti non – no, non ve la racconto adesso, la storia delle pulizie della scuola. Allora è arrivato questo sponsor, Xxxxxxxxx®, che ha detto: “Volete i libri? Volete gli attrezzi scientifici? Volete la carta igienica? Fateci sponsorizzare l’attività scolastica. Fateci sponsorizzare i compiti in classe.” Il preside ha piegato la testa, umiliato. Così, chi scrive il miglior compito in classe vince grosso. Non era gergo giovanile. Che cosa si vince? Ve lo dico dopo. E, magia, grazie alle sponsorizzazioni mio figlio si è messo a studiare. E il suo, alla fine, è stato il miglior compito in classe. Ha vinto grosso.
Non l’ha scritto lui, chiaro. L’ha comprato dal primo della classe, Pastonchi. Che è gxy (non sono io, è l’app che non accetta la parola, devo metterci le x, è l’app di una setta molto moralista, ma è l’unica app esistente che permette di postare le parole in rete mentre le scrivi) e il primo premio non gli interessava.
“Allora perché studiavi, se sapevi già che avresti comprato il compito?” “Perché dovevo scambiarlo con quello di Pastonchi e dargliene uno che non fosse troppo scadente.” “E la prof non se n’è accorta? Non ha visto che era scadente?” “Non era scadente. Ho studiato tantissimo. Ho scritto il miglior compito della mia vita.” “Quanto hai preso? Intendo dire quanto ha preso Pastonchi con il compito che in realtà era scritto da te e che tu gli hai dato in cambio del suo per una somma di denaro precedentemente pattuita fra voi?” (questa domanda che gli ho fatto era molto più breve e molto meno pedante di così, ma qui l’ho scritta lunghissima e pedante perché in un attimo di sconforto ho temuto che voi che leggete non capivate più di chi era il tema e chi ha veramente preso il voto che ora mio figlio mi dirà nella risposta successiva che sto per scrivere:) “Sei meno meno meno”. “Sei meno meno meno! Hai scritto un compito da sei meno meno meno! Ma è un miracolo!” dissi io, abbracciando mio figlio. Sei meno meno meno. Me lo immaginai come un’enorme cifra trionfale galleggiante per aria:
6—
Sei meno meno meno. Questo per dire i miracoli che può fare la fxxa (perché ovviamente c’entra la fxxa, come capirete tra poco). “E il compito che hai comprato da Pastonchi, quanto ha preso?” Anche questo lo saprete fra poco, non lo dico adesso, lo lascio in sospeso.
La fxxa. Aveva ragione la prof di italiano. “Contano le motivazioni. Suo figlio non ha motivazioni,” mi ha sempre detto la prof di Gianluca. La fxxa. Dà da pensare, quando i luoghi comuni si verificano.
Il premio per il miglior compito in classe consisteva nel partecipare a una serata con la presenza di Guenda Pinna. Sì, lei (Guenda Pinna nuda). “Con la presenza” è impreciso. “Con in palio” è più preciso.
Da qui viene quel “Mi potresti aiutare tu?” che ho detto all’inizio.
Ho accompagnato mio figlio, ma il mio aiuto non consisteva solo in un passaggio e in un supporto morale, come capirete fra poco. Sono andato alla serata. Guenda Pinna, che voi pxxxxxi conoscete bene, era vestita. Eravamo in un locale con una specie di teatro-arena da una parte. C’erano anche le telecamere. Guenda Pinna è la testimonial di Xxxxxxxxx®, lo sponsor della scuola di mio figlio. Il presentatore, che poi era Diggei Gillo, le ha messo un sacchetto di carta sulla testa. Lei è rimasta seduta così, al centro del teatro-arena, con la testa infilata in un sacchetto di carta. Diggei Gillo ha fatto entrare i concorrenti. C’erano “i migliori studenti della nostra regione!”. Sì, c’era anche “e facciamo entrare Gianluca, record personale 9+!” (in realtà 6—, il 9+ era merito di Pastonchi). In che cosa consisteva il concorso? La parola a Diggei Gillo: “Ognuno dei nostri ragazzi dovrà sussurrare all’orecchio di Guenda Pinna una frase. Una frase soltanto. La sentirà solo lei. Senza vedere in faccia chi gliel’ha detta. E sceglierà la frase più bella. La più seducente. La più coraggiosa. La più delicata. La più virile. La più romantica. La più forte. La più poetica. La più carezzevole. La più…” “E mo’ basta, hai rotto il cxxxo, Gillo!”, ha gridato dal pubblico uno vicino a me. “Decideranno i nostri concorrenti che cosa sussurrarle all’orecchio. Che cosa si vince? Una giornata in barca con Guenda Pinna e con il fantastico cast del suo nuovo film, di cui Xxxxxxxxx® è il main sponsor!”
Va bene questo ritmo? Sto raccontando più veloce di prima, mi sembra. Adesso qua però ci vuole un po’ di fuffa che crei attesa prima di arrivare a sapere chi vince, e bisognerebbe anche descrivere le facce dei concorrenti ma è presto detto, li potete vedere tutti qui, nel sito di Xxxxxxxxx®. E va bene, facciamo che bisogna metterci delle righe per riempire gli spazi, come fanno i grafici che mettono un testo senza senso quando devono riempire una pagina per vedere che aspetto ha l’impaginazione, quello più conosciuto è lorem ipsum dolor sit amet consectetur adipisici elit eccetera, va bene così, può bastare, è passato abbastanza tempo, sono passate abbastanza parole per creare attesa mentre scorre la fila dei migliori studenti delle scuole sponsorizzate da Xxxxxxxxx® che si chinano su Guenda Pinna messa in palio da Xxxxxxxxx®, uno dopo l’altro i migliori studenti della nostra regione le sussurrano una frase attraverso il sacchetto di carta, arriva il turno di mio figlio Gianluca che si china su di lei e le sussurra –
“Mi potresti aiutare tu?” “Hai bisogno di un passaggio?” “Ho bisogno che mi aiuti a trovare la frase da dire nell’orecchio a Guenda Pinna.” “E cosa ti fa pensare che una frase che mi invento io possa farti vincere?” “Papà, se uno come te è riuscito a mettersi con quella fxxa che era la mamma da giovane, vuol dire che sai cosa bisogna dire a una donna.” (peccato interrompere il ritmo di questo dialogo con un commento, ma sentir dire da mio figlio “quella fxxa della mamma” mi ha fatto una certa impressione).
Ecco. Il mio resoconto è finito. Ho pensato di raccontarvi questa storia proprio oggi perché. Be’, è chiaro perché. Tra poco Gianluca dovrebbe tornare a casa e mi racconterà come è andata la giornata in barca e –
Mi sono dovuto interrompere ancora perché ha appena chiamato Gianluca, dice che sta simpatico a tutti e l’hanno invitato a stare con loro in barca per una settimana intera, “tanto è luglio, siamo in vacanza, papà!” E pare che anche Guenda Pinna non sia quel recipiente di segatura che sembra quando risponde alle interviste. Mio figlio Gianluca non lo sa che gli ho suggerito di dirle esattamente la stessa frase che avevo sussurrato all’orecchio di mia moglie vent’anni anni fa. Non sa che se è nato, lui e anche sua sorella, sì, insomma, loro due sono una conseguenza di quella frase. Che a questo punto potrei anche – eh no, col cxxxo che ve la dico.
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