Dopo un giorno intero che va avanti a nevicare, le sagome sepolte delle automobili si somigliano tutte, e aprendosi la strada sulla neve ancora intatta che copre il marciapiede, Rascal si sente stanco e triste e pensa che il giorno dopo si ammalerà.
Le sue scarpe da basket sono gelide, ormai, e sente freddo ai piedi e li sente bagnati, così cerca di camminare verso l’unica luce di negozio che si vede in fondo alla strada. 
Potrebbe essere la vetrina illuminata di un bar e potrebbe essere un cavolo di posto qualsiasi in cui rifugiarsi in attesa che l’amico Brichmond si faccia trovare a casa.
Se fosse un bar, si dice Rascal, potrei levarmi questo giaccone fradicio e lasciarlo asciugare vicino al termosifone. Gli sembra una specie di lusso inaudito, asciugare il giaccone militare e mangiare qualcosa di caldo.
Di tanto in tanto, le fronde degli abeti che fanno da sipario alla quinta di palazzine della via si piegano con uno scricchiolio sommesso sotto il peso della neve, e nel cono di luce dei lampioni Rascal la vede sfarinare a terra finché non si confonde con la coltre uniforme che copre il marciapiede.
“Sarò a casa per le sei”, aveva garantito Brichmond al telefono. “Vai trànquilo”, aveva aggiunto. “Tranqui proprio, fratello. Sei, sei e mezzo al massimo mi trovi a casa”. 
Se vuole farmi capire che la visita non è gradita, pensa Rascal avanzando verso quel miraggio di vetrina illuminata, ha trovato un modo da vero stronzo.
E dire che gliel’aveva chiesto più di una volta e più di due, per essere sicuro di non disturbare. “Mi basta un posto dove stendere il sacco a pelo, fratel Brichmond”, aveva ripetuto, e la voce gli tremava per la gratitudine che, in anticipo, provava. “Cucinerò per tutti e due e, giuro, non mi tratterrò più di una settimana”. 
“Trànqui, Rascal”, l’aveva rassicurato l’altro. “Sciagadà, fratellino. Lo sai come si dice tra persone di mondo. Mea casa è tu casa”.
Pensa che Brichmond è un amico del cavolo, e pensa che è stato un pivello a fidarsi delle sue parole. Vai trànquilo. Tranqui proprio, fratello. Sciagadà. È a fidarsi di parole del genere che si rimane a spasso con questo tempo da lupi. Adesso lo so, si dice Rascal. Adesso lo so e non lo dimenticherò mai più. 
La saracinesca è ancora sollevata per tre quarti, e dalla grande vetrata che affianca l’ingresso Rascal può guardare dentro. È come un acquario illuminato in modo vivido ed è un negozio di alimentari con i poster della squadra di calcio cittadina appesi al muro, in alto sopra le scaffalature cariche di bottiglie e pacchi di pasta. “Fratelli Varthema”, è scritto sull’insegna, così Rascal si dice che l’uomo dalle folte basette con il grembiule da macellaio deve essere il fratello maggiore, mentre il ragazzo in piedi dietro la cassa non può che essere il giovane Varthema. Indossa un maglione a trecce da alta montagna, il giovane Varthema, e sulla sommità della testa rasata porta una papalina di lana dai colori sgargianti. “Che giornata fenomenale”, esclama appena Rascal entra nel negozio. “Da dove mi arrivi, giovane? Alaska? Lapponia?”
“Niente di così esotico”, dice Rascal senza timidezza, e dentro il negozio c’è una radio accesa che manda del vecchio blues elettrico inglese, e fa caldo e si sta bene. “Solo che ho sbagliato in pieno l’equipaggiamento”, dice Rascal. “Di sicuro”, aggiunge sollevando i piedi uno dopo l’altro “le scarpe non erano quelle adatte”.
Il giovane Varthema sorride, e anche il fratello con il grembiule sorride, e quando Rascal domanda se è possibile avere un sandwich al formaggio esclama “Pronti”, e comincia a darsi da fare con l’affettatrice.
“Sono venuto a trovare un amico”, spiega Rascal. “Un ragazzo che abita qui vicino”.
“Con tutte le ragazze che ci sono”, lo stuzzica il giovane Varthema. Lo capisci subito che è curioso.
“Un certo Cleto Brichmond”, dice Rascal. “Un tipo che ha uno studio di registrazione in casa”.
“È passato da qua stamattina”, sussurra il giovane Varthema illuminandosi di confidenza. “L’aveva detto che aspettava un ospite”.
“Begli amici che hai”, sorride chino sull’affettatrice il fratello maggiore. “Scherzo, sai”, dice subito.
“No, no”, dice Rascal. “Sul serio. Avevamo una specie di appuntamento mezz’ora fa, ma a casa non c’è nessuno”.
“Non è cattivo”, dice il giovane Varthema scuotendo la testa. “Solo, ha la malattia del ritardo. Una volta è riuscito a perdere un aereo per il Giappone”. 
“Sì”, sorride Rascal. “L’ha raccontato molte volte anche a me”. 
Il fratello maggiore porge a Rascal un sandwich imbottito al doppio formaggio, e proprio non c’è verso di pagare. “Offre la casa”, insiste mostrando i palmi delle mani come un uomo che s’arrenda. “Con questa bufera”.
“Sotto la neve, il pane”, sorride il giovane Varthema guardando Rascal in modo diretto. “Lo sai come dice il proverbio”.
“Alla vostra salute, allora”, dice Rascal, e prende il sandwich dalle mani dell’uomo.
Il blues elettrico diffuso dalla radio riempie l’ambiente del negozio per lampi bianchi e sterzate improvvise, e oltre la vetrina c’è solo neve che continua a cadere nel buio. Rascal guarda il buio che riempie la strada, e sorride e pensa che la buona musica è fuoco. Si dice che non esiste, un buio abbastanza fitto da resistere alla luce del fuoco, e in pace comincia a mangiare.


Enrico Brizzi


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