Mi è capitato qualche volta, salendo sul tram o la metropolitana, di non timbrare il biglietto.
Non per dimenticanza, coscientemente. 
Mi è sempre andata bene. Quando scendevo dal tram e tornavo a mischiarmi tra la gente che camminava per la strada il buon esito della mia bravata mi lasciava indosso la sensazione che anch’io nel mio piccolo avevo trasgredito,avevo infranto la legge e questo un poco mi rallegrava, forse perchél’entità del reato la consideravo modesta.

Qualche tempo fa sono entrato perla prima volta in un carcere, perché con altre persone dovevamo disputare una partita di calcio con i detenuti.
Appena varcata la soglia c’erano due guardie carcerarie che mi chiesero di vedere i documenti, e dopo aver indugiato non poco sulla mia foto affermarono che li avrei ritirati all’uscita insieme al telefono cellulare che mi sottrassero dalle mani con un gesto deciso e sicuro, di chi è abituato a perquisire persone.
Non che dovessi telefonare, ma quella spoliazione momentanea mi faceva sentire a disagio. Forse mi facevo troppe menate mi dissi e mi avviai con gli altri miei compagni a indossare pantaloncini e maglietta.
Ci fecero cambiare tutti insieme in una cella vuota, che forse un detenutoci aveva prestato o che più probabilmente avevano costretto a prestarci.Appoggiammo i nostri abiti civili sul letto, e intanto l’occhio mi cadeva su pagine di giornale strappate e appese ai muri. Quasi tutte raffiguranti famose dive dello spettacolo non proprio vestite o campioni dello sport.
Vennero a prenderci altre guardie e attraverso numerosi cancelli e porte di metallo, che accuratamente erano richiuse alle nostre spalle, ci accompagnarono sul campetto in cemento dove si sarebbe svolta la partita.
Sugli spalti erano assiepate soprattutto guardie, e in quel momento mi sembrò che guardassero solo me con quello sguardo tipico di chi è abituatoa sospettare di chiunque.
Il fischio d’inizio mi distrasse un poco da quei pensieri, ma al primo contatto con un avversario l’arbitro decretò un fallo contro di me e aggiunse che mi teneva d’occhio. Che cosa voleva dire? Che razza di minaccia era?
Lo confesso ero un po’ nervoso e a seguito di qualche passaggio sbagliatoi miei compagni iniziarono a dirmi “… sei sempre il solito”“… non ci si può fidare neanche a darti la palla…”.
Immediatamente capii: tutti sapevano di quella storia dei biglietti non timbrati: guardie, detenuti, compagni e tutti mi guardavano con negli occhi uno sguardo di disapprovazione.
Finalmente la partita finì. Rimanevano le foto di rito che forse sarebbero state appese ai muri di qualche cella. La squadra dei detenuti mi chiese di posare con loro ed essi ridevano, scherzavano e mi abbracciarono come se fossi uno di loro.

Ce ne andammo dal campo sudati, oraci aspettava una doccia bella calda ma io preferii andarmene così sporco e con il cuore in gola. C’era solo un ultimo ostacolo: i documentie il telefono. La guardia si soffermò ancora sulla mia foto, ebbi l’impressione che guardasse sotto il bancale dove solitamente sono appese le foto segnaletiche dei ricercati. Mi consegnò la carta d’identità e disse con una risata sarcastica “ Può andare… per questavolta”.
Varcai la porta del carcere e dopo pochi metri un tram si fermò proprio davanti a me, la porta si aprì e riuscii a vedere il guidatore chesorrideva e con un cenno del capo mi invitava a salire. Rimasi immobile per qualche istante poi iniziai a correre a perdifiato.
Qualche tempo fa il Direttore del carcere mi invitò di nuovo per un’altra partita di calcio. Ho declinato l’invito dicendo che soffro diun’inguaribile elongazione
Al quadricipite della gamba destra.

… se ti è andata bene la prima volta, non sfidare la sorte.


Aldo, Giovanni e Giacomo


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Smemoranda 2001


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