La cosa che mi diverte di più, dopo recitare e qualche volta dopo vivere, è giocare. Credo che sia una voce del verbo “to play” non casualmente, dato che “play” in inglese significa, appunto, il mestiere dell’attore. Quale gioco è più bello di stare in scena o su un set a fingere qualcos’altro? Pirandello a parte, il così è se vi pare che è da sempre legato alla nostra professione ne rappresenta anche lo stimolo più brillante, più eterno. Ma il gioco, per me, caratterialmente parlando, ha una valenza in più, vuoi dire proprio distribuire manciate di passatempo rilassante, vuoi dire conoscere meglio chi ti sta davanti (esistono ferree regole di psicologia in questo settore: dimmi come giochi e ti dirò chi sei), vuoi dire fare esercizio di dialettica e di memoria, il che, per noi attori, che quotidianamente esercitiamo la dialettica e la memoria, non è sconsigliato, anzi. Giocare vuoi dire tirar ore piccole o medio piccole scherzando, urlando, riconoscendo i propri e gli altrui “tic”, ricreando l’atmosfera della ricreazione, giacché il resto della giornata, come a scuola, è dedicato a qualcosa dì ufficialmente più serio. Non so se sbilanciarmi al punto di dire che io preferisco a volte giocare piuttosto che andare a vedere un film medio; e in questa mia passione, che divora le lunghe ore morte delle nostre bellissime tournées, coinvolgo naturalmente amici e colleghi, inventando e tramandando per loro giochi sempre nuovi e sempre vecchi, uguali e diversi a centinaia d’altri già fatti, ma sempre in grado di dare un pizzico di verità a una serata. E poi il gioco (non mi piace chiamarlo di società: quale società) è un calcolo enigmatico della nostra intelligenza, una maniera simpatica per tenere in esercizio le cellule del cervello e aizzare le nostre doti psicologiche. Quali giochi faccio non lo dirò mai pubblicamente. Ciascuno ha i suoi copyright da mantenere in caldo per domani. E poi c’è sempre il rischio di essere bollata a vita di futilità (“eppure mi sembrava una donna così seria, moderna, intelligente… un’attrice così preparata, non ci si può mai fidare…”) e di perdere per strada qualche ammiratore, se confessassi che mi diverto un po’ a tutti i giochi dai più elementari, comprendendo anche il trenino, a quelli più sofisticati, basta non arrivare al bivio di Marienbad, con una spiccata preferenza per il “se fosse” e “la camiciaia”. Chi sa di cosa parlo mi potrà capire. Altri sorvolino, per favore. In ogni caso, qui lo dico e qui non lo nego, il recitare è il gioco che preferisco: tutti gli altri mi servono per tenermi in allenamento, guardare la gente in faccia nei salotti nuovi e continuare a credere che il tempo si è fermato. 


Mariangela Melato


Vedi +

Smemoranda 1989


Vedi +