Tolomeo XIII imperatore

di Enrico Brizzi su 16 mesi - Smemoranda 2011





Tolomeo XIII era un uomo vacuo, lussurioso e bugiardo.

Mai prima di lui un imperatore così indegno aveva governato la nostra grande terra; se è vero tutto quel che si racconta, è una fortuna che gli Dèi l’abbiano spinto al disastro.

Scrive di lui Erodoto il Greco: “La chioma inanellata e cosparsa di unguenti, sempre carico di collane e orecchini, Tolomeo figlio di Sofronio il Grande era di temperamento più adatto a recitare nei teatri che non a reggere il destino delle genti. Fin dai primi anni di regno si presentava vestito in maniera sgargiante e inadatta a un sovrano; mancava di rispetto al Consiglio dei Migliori e trascurava gli oracoli, preferendo affidarsi a indovini e ciarlatani. Tale poi era la sua passione per le cortigiane, che si diceva avesse svuotato le casse del tesoro per colmarle di doni”.

Mentre il resto del regno si impoveriva come mai prima, Tolomeo viveva nel suo mondo di sogno, rinchiuso nella cittadella imperiale. Aveva ordinato che fosse rischiarata in permanenza da mille bracieri, ché ai banchetti potessero seguire senza pause gli spettacoli, e a questi nuovi banchetti, senza riguardo per il succedersi del giorno e della notte.

Danzatrici agili come cerve imperversavano per le sale, eccitate dal ritmo sfrenato dei suonatori di cembalo, mentre nubiani dai toraci lucidi si esibivano come mangiatori di fuoco; minuscoli pigmei, gigantesse del Caucaso e buffoni coperti di stracci improvvisavano sbilenche piramidi umane, che si scioglievano al barrito d’un corno per trasformarsi in finte risse, matrimoni simulati, nuove acrobazie.

“Che noia, però” si lamentava Tolomeo, riverso sul triclinio imperiale in preda all’ubriachezza. “Su, chi mi versa un altro goccetto di bumba? Son pur sempre il nipote del Sole, mica un pirla qualsiasi!”

Poiché non era in grado di assicurare benessere e felicità alla nostra gente, si ritiene comunemente che il giorno migliore del suo regno sia stato l’ultimo, quando il volere degli Immortali ci liberò da quel flagello.

Apparve in cielo l’arcobaleno e i messaggeri, piangendo di gioia, partirono per diffondere la notizia in ogni contrada del regno.

Piacendo al Cielo, la nostra grande terra era pronta a risorgere.


Enrico Brizzi


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