Si aggira da queste parti di notte, si dice. C’è un tizio che di giorno non vedi, sbuca fuori quando è tardi, quando il cielo è buio e si gela.
Gira con il suo vestito migliore, lo stesso vestito da trentacinque anni. È un ex professore di italiano, accusato d’essere «non idoneo a insegnare», venne licenziato perché non era un buon esempio per gli studenti, fumava.
Qualcuno dice che non è ridotto poi così male, ha una casa, anche in una bella zona, e due nipoti che lo vanno spesso a trovare, sembra gli vogliano bene. Eppure ha sempre lo stesso vestito, tutte le notti da trentacinque anni.
Raccoglie mozziconi spenti dai posacenere dei bar, in stazione, fuori dai supermercati, fuori dagli uffici. Poi si siede sulla panchina, li sbriciola nella sua mano elegante e comincia a impastare il tabacco che ne ha tirato fuori, facendo molta attenzione a quello che gli rimane incastrato tra le dita. Ha una fede, dev’essere sposato.
Riesce a fare su tre, anche quattro sigarette ogni sera, e un paio se le fuma guardando lontano, come se aspettasse qualcuno.
Sigarette spente da gente stressata, da gente che parte, da gente che arriva, da chi tenta la fortuna con un gratta e vinci, da chi spende le ultime monete che ha per un calice di bianco scadente. Aspira i loro tormenti.
Li manda giù e li rende una nube fitta e vaporosa. Fa ampie boccate, poi una smorfia mentre aspira, e sbuffa di nuovo il loro fumo. Le disperazioni di queste persone svaniscono a ogni tiro, passano notti serene, notti che rivelano soluzioni e sollievi, e il giorno dopo sembrano persone nuove, ma non sanno perché.
C’è chi giura di aver smesso di fumare da un giorno all’altro, senza un motivo, e chi invece vorrebbe iniziare, sperando che il suo mozzicone venga raccolto da Salvatore, che magari gli trova la soluzione a tutti i problemi.
Nessuno può sapere, se non dopo una notte di patimenti, quanto dolce e prezioso al cuore e agli occhi possa essere il mattino.