
“Voi volete entrare in quella Casa? (…) E ci entrerete…”
Correva il lontano 2000: anche in Italia atterrò il format più famoso della storia della tv, The Big Brother, El Gran Hermano, Il Grande Fratello.
In quel periodo, dato lo strepitoso successo del programma, circolava in libreria un’edizione di 1984 di George Orwell infascettata a dovere con una frase che più o meno strillava “il libro che ha ispirato il programma in onda su Canale 5”. Il Grande Fratello orwelliano, occhio del potere che vigila su tutti, era servito d’ispirazione, ma le analogie letterarie finivano lì…
Quello che poi è diventato il programma nell’immaginario di un’intera nazione ce lo descrive perfettamente il regista Matteo Garrone nel suo ultimo film, oggi, a dodici anni dalla prima puntata.
I personaggi si dividono tra desolanti centri commerciali, acqua park e i quartieri popolari di una Napoli agitata e colorita. Luciano sbarca il lunario con la sua pescheria e un piccolo business truffaldino; un giorno arriva in città il carrozzone per il provino del “Grande Fratello”, e i suoi familiari – in particolare le suppliche della figlia più piccola – lo spingono a partecipare alle selezioni… Luciano accetta, ma da quel momento la sua blanda aspirazione diventa una vera e propria ossessione che lo porterà alla follia.
Così, per tutto il film lo spettatore rimane in attesa, come il protagonista, del grande colpo di scena, cioè la chiamata da parte del programma: arriverà mai? Ciò che tiene incollati allo schermo, però, sono i toni, le voci e il realismo di quello che si racconta: la fila eterna di candidati ai provini di Cinecittà, la folla urlante al centro commerciale davanti a un concorrente della precedente edizione, che più tardi si esibirà anche in un’affollatissima discoteca… E qui non si tratta certamente di finzione registica. Quelle scene le abbiamo viste riprese dai giornali, in tv, a volte dal vivo: ordinaria follia, il successo è alla portata di tutti, basta cogliere l’attimo. Luciano non fa altro che fantasticare sulla sua vita da “famoso”, che porterà lui e la sua famiglia a svoltare e a non doversi più preoccupare di niente. “Vai che questo è l’ultimo caffè da non famoso!”, gli profetizza il fedele barista subito dopo i provini…
Il sogno di Luciano non si avvera, il programma parte senza il suo ingaggio ma lui non smette di crederci e finisce per convincersi che la sua vita sia un reality e che il Grande Fratello si nasconda in tutte le persone che incontra. Decide quindi di assumere un comportamento esemplare, in una specie di deriva mistica, in modo che chi lo osserva si renda conto di quanto è buono e giusto.
Oltre alla bravura disarmante del protagonista (l’esordiente Aniello Arena, detenuto nel carcere di Volterra e in permesso speciale per recitare sul set) l’aspetto davvero apprezzabile del film è che Garrone non sale in cattedra per farci una lezione sulla decadenza dei costumi, o sugli effetti della tv sulle masse: non giudica, casomai ironizza – perché si ride anche molto – e, anche se esaspera parecchio i toni, ci racconta un pezzo di società sicuramente vera… o reale, per l’appunto.
Lascia un commento