Rinoceronti tristi, un po’ complicati quando si parla d’amore

di Mia Canestrini

Sei una bestia - Storie di Smemo

Non è bello come il Rinoceronte bianco, ma la stazza ti ricorda che è meglio non infastidirlo. Attraverso la foto scattata da Joel Sartore, Harapan, uno degli ultimi 80 Rinoceronti di Sumatra, sembra guardare verso l’obiettivo, dritto in camera. Ha l’aria mite, quasi rassegnata, di chi non ci sta capendo molto. Originario del sud-est asiatico, è nato in Florida, nel White Oak Conservation Center, ha vissuto allo zoo di Los Angeles e poi allo zoo di Cincinnati e ora vive nel Santuario dei rinoceronti di Sumatra, dove è arrivato grazie ad un aereo cargo, dal quale poi è stato prelevato e caricato su un battello e poi ancora prelevato e caricato su un camion, fino alla destinazione. Lì, ha trovato un minuscolo contingente di conspecifici con un compito importante: riuscire a riprodursi in cattività.

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Harapan, maschio di 4 anni di Rinoceronte di Sumatra (Dicerorhinus sumatrensis), al White Oak Conservation Center. Questa specie è considerato a serio rischio di estinzione

Non si assomigliano granché, ma lo sguardo di Harapan mi ha ricordato gli occhi di certi lupi, quando erano chiusi in un box per essere curati dopo essere stati investiti, o quando erano stretti tra le maglie di una gabbia di trasporto, dopo essere stati catturati a fini di ricerca. Lo sguardo di chi non ci sta capendo molto, di chi si trova costretto in un ambiente artificiale, in balia delle decisioni degli uomini. A fin di bene, in tutti i casi, ma questo lo sappiamo solo noi, è inutile raccontarsela. Gli animali subiscono le nostre scelte anche quando arriviamo al punto di doverli strappare al loro habitat per salvarli, come nel caso del Rinoceronte di Sumatra.

Il Santuario che ospita oggi Harapan e il piccolo manipolo di rinoceronti prelevati dalla natura è una piccola speranza per la conservazione futura di una specie che conta circa 80 esemplari. All’inizio del secolo scorso i Rinoceronti di Sumatra erano migliaia e diffusi tra India, Bhutan, Bangladesh, Birmania, Laos, Thailandia, Malaysia e Indonesia, ma oggi li troviamo ridotti a 5 nuclei distribuiti sull’Isola di Sumatra e nel Borneo indonesiano.

Il nucleo del Borneo malese, dal 25 novembre 2019, è estinto: dopo la morte di Tam, ultimo maschio esistente, è morta anche Iman, l’ultima femmina. Esemplare dopo esemplare questa specie sta inesorabilmente dicendo addio al Pianeta Terra, ed è un po’ come soffiare lentamente sulle candeline di una torta spegnendole per sempre, solo che non c’è nulla da festeggiare.

L’idea, da oltre 30 anni, è quella di creare una popolazione in cattività, protetta dal bracconaggio e dalla distruzione degli habitat forestali, già ridotti del 70%, destinando parte della popolazione selvatica a zoo e santuari, ma l’operazione iniziale è stata catastrofica, con 40 esemplari morti durante le catture o poco dopo per problemi di salute.

Non bastasse, i Rinoceronti di Sumatra sono un po’ complicati quando si parla d’amore: la femmina è recettiva sessualmente un solo giorno durante l’estro, ha gusti molto selettivi in termini di maschi e va incontro a tumori dell’utero e della vescica con estrema facilità se non si accoppia regolarmente, diventando sterile. Infine, la gestazione dura 15 mesi e i nuovi nati impiegano anni a diventare adulti e potenziali genitori. Tutto questo rende Harapan e i suoi amici gravemente minacciati di estinzione.

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Frammentazione, distruzione degli habitat e caccia illegale per ottenere il famoso e preziosissimo corno, impiegato nella medicina orientale, stanno portando i rinoceronti di tutto il mondo verso la scomparsa. A marzo del 2018 ad esempio è morto in Kenya un bestione di nome Sudan, l’ultimo maschio di Rinoceronte bianco settentrionale, e ora restano solo due femmine, Fatu e Najin, per cui la specie può essere dichiarata estinta. Come Harapan anche Sudan ha viaggiato un po’, catturato nell’omonimo Paese è stato portato nel 1975 in Cecoslovacchia dove è rimasto fino al 2009, per poi essere riportato in Africa, ma non a casa sua, in Kenya.  Chissà se i rinoceronti hanno ricordi della loro vita passata. Me lo domando sempre, avendo visto la nostalgia e la mancanza di qualcuno attraversare gli occhi dei miei cani in modo indiscutibile.

Pochi mesi fa la notizia tutta italiana, anzi cremonese, della creazione in vitro di due embrioni di Rinoceronte bianco del Nord, grazie agli ovociti delle femmine sopravvissute e allo sperma congelato di due maschi. Embrioni che potranno essere impiantati in una madre surrogata. La notizia forse dovrebbe fare ben sperare, ma io non riesco a gioire granché. Nel momento in cui gli animali diventano pezzi viventi da museo fatti viaggiare con la scorta, sorvegliati a vista da ranger armati fino ai denti o oggetto di fecondazione in vitro, abbiamo varcato ampiamente il limite di quella che io chiamo decenza ambientale.

Il messaggio è uno solo: abbiamo fallito nella conservazione, non siamo stati in grado di proteggere, e ora tocca tentare il possibile e l’impossibile. Ben vengano tutti gli sforzi, comunque. Quello che mi sembra più carino è stato partorito pochissimi giorni fa, sempre in forma embrionale, dalla mente dei ricercatori delle Università di Oxford e Fudan, a Shangai. La loro idea è quella di immettere sul mercato nero finti corni di rinoceronte, indistinguibili da quelli veri, ottenuti incollando insieme migliaia di crini di cavallo con una proteina ottenuta dalla seta e arricchendoli con cellulosa, sostanza naturalmente presente a causa del continuo sfregamento del corno contro le piante.

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Il corno vero di Rinoceronte è di fatto una struttura di cheratina formata da un ammasso di peli tenuti insieme da una sostanza sebacea. L’arrivo sul mercato nero di una grande quantità di corni, seppur finti, dovrebbe provocare un crollo del loro prezzo (che può arrivare a oltre 50.000 euro al chilo) e quindi un calo di richiesta e interesse nel loro reperimento in natura.

La strada della conservazione degli ultimi rinoceronti del mondo sembra essere destinata a prendere strane deviazioni, ma chissà che almeno le specie ancora esistenti non possano così continuare a brucare pascoli e foreste del mondo nei prossimi decenni.