Facile non sapere niente di questo Tunic, quando lo caricate per la prima volta sulla vostra Xbox o sul vostro PC. Non è un gioco con un nome altisonante, non è l’ultimo nato di una famiglia importante: Assassin’s Creed, Uncharted, Super Mario, fate voi. È un giochino (o almeno, sembra -ino) sviluppato da un indipendente, un ragazzo canadese di nome Andrew Shouldice, che ci ha messo sette anni sette a farlo. E già solo per questo ci sta molto simpatico.
Ma torniamo al titolo: tunica. Vuol dire proprio quello, perché una tunica è l’unica cosa che copre il nostro protagonista, almeno all’inizio del gioco. Poi ci sarà modo di equipaggiarlo con roba più interessante, ma per ora si deve accontaentare di quella.
Ah, c’è un particolare: il protagonista è un volpino. Un simpatico volpino carino che si trova con la sua tunica su una spiaggia abbandonata. Non sappiamo nient’altro, se non che dopo pochissimo arriva a una enorme porta d’oro che lo trasporta in un mondo magico in cui c’è una volpina imprigionata da una specie di gabbia magica. Da qui in poi inizia l’avventura.
La tunica non fa il volpino?
Ma perché la tunica è importante? Perché è praticamente la stessa che indossa Link nella serie di Zelda, e Tunic è effettivamente un gioco ispiratissimo a Zelda. Ed è effettivamente un vero gioco di ruolo d’azione, con oggetti da trovare, equipaggiamenti magici e un sacco di puzzle e di segreti. Oltre a Zelda, l’altra fonte di ispirazione è stranamente Dark Souls, perché il modo di giocare è in realtà molto simile. Ma non è così difficile, e l’ambientazione, la grafica, la musica, lo rendono un sacco più rilassante. Il che non significa che non ti venga voglia di scagliare il pad contro il televisore, ma solo qualche volta.
Abbiamo capito ormai che anche i piccoli sviluppatori possono mettere insieme giochi magici, e Tunic fa proprio parte di questo genere di giochi. Perché certo ha i suoi difetti tecnici e non può essere paragonato a una produzione miliardaria, ma ti lascia sempre con un senso di meraviglia, e la voglia di andaere a scoprire cosa c’è dopo, e questo – banale, ma vero – è la cosa più importante.
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