Abbiamo visto live Dagger Moth

Abbiamo visto live la one-woman band di Sara Ardizzoni, in arte Dagger Moth: vi raccontiamo com’è andata l’esperienza

Dagger Moth è il progetto solista di Sara Ardizzoni, giovane rocker ferrarese, già voce/chitarra di alcune band apprezzate nell’ambiente delle indie italiche (tra le ultime i Pazi Mine, con la quale ha fatto un solo grandissimo cd tre anni fa, recensito su questi schermi).

Sara Ardizzoni Daggermoth
Sara Ardizzoni, in arte Daggermoth – Smemoranda.it

Dagger Moth si può definire una one woman band, e dal vivo questa definizione si comprende benissimo: una donna sola sul palco, con la chitarra e ai suoi piedi dei giocattolini elettronici. Lei con questi giocattolini sembra in perfetta sintonia, ci si inginocchia accanto e sembra parlarci, comandarli, per creare delle basi sonore minimali quanto magiche. Così l’ho vista a Rovereto, in uno dei suoi primi concerti estivi, e primo appuntamento di “Altri Suoni”, rassegna curata da The Hub Rovereto.

Un concerto intenso e dilatante

Mi sono seduto in prima fila, per sentirla meglio e vederla. Dagger Moth è un tipo di falena, questo rende bene l’idea di atmosfera notturna e di fragilità, ma “dagger” è anche pugnale, cosa forte, decisamente rock. E così è lei: donna non minuta, ma manco enorme, che diventa grandissima quando imbraccia la chitarra, anzi, ancora prima, quando comincia a giocherellare con i vari strumenti che le fanno da base. Nel piccolo parco di Santa Maria di Rovereto, con un pubblico puntualissimo e numeroso, c’era veramente un’atmosfera magica, quasi irreale, con il rumore del vento, come in “Blow Up” di Antonioni, ferrarese come lei, ad aumentarne il senso onirico.

Dagger Moth, ha offerto con professionalità e senza enfasi, un’ora e mezza di musica intensa, dilatata/dilatante, snocciolando con calma e determinazione tutti i pezzi del nuovo omonimo album, registrato dal concittadino Giorgio Canali. I brani dove si sente meglio questo senso di dilatazione, dove il tempo viene praticamente annullato, sono “Autumn Solo”, una canzone che spacca dentro, con quella voce che non si riesce a capire da dove venga (una delle voci più perturbanti della scena underground) e la chitarra malinconica, grande, come è grande nell’ipnotica “Deadwood”, con i giochetti elettronici che veramente sembrano provenire dagli esserini vivi che lei, appunto, ha addomesticato, o in “Wisteria Blues”, quando non riesco a trattenere il battere ritmico della mia coda.

Bello il modo di giocare con la voce in “Narcissues”, uno dei miei pezzi preferiti sull’album (anche live fa la sua porca figura). Come è del resto esaltante in salire “Mind The Gap”, ma è difficile scindere la sua musica in singoli pezzi, pare proprio un’unica suite rock: voce e chitarra, intervallate da qualche “grazie” da lei detto con una voce tenue, timida, che si fa forte, o dolente, in alcuni pezzi, sensuale in altri, e tutti quegli esserini, con i quali gioca, come fosse una streghetta buona. Unica.

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