It

Non è un remake e non è un reboot. Questo è il primo vero adattamento cinematografico di un capolavoro horror di 1.000 pagine scritto negli anni Ottanta.

Però i ragazzi dei Novanta si ricordano bene il film per la tv che, replicato fino alla nausea dalle televisioni, si è stampato nell’immaginario collettivo di quella generazione. Così vedere It è strano: difficile non aver letto il libro – che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo – e ancora di più non aver visto quell’adattamento televisivo. Quindi è difficile non fare paragoni. Togliamoci subito il pensiero, allora: It, il film del 2017, non è magico come il libro; non fa paura come il libro. È sicuramente meglio del precedente adattamento televisivo. E, anche in questo caso, meno spaventoso.

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It, la recensione – Credits: YouTube – smemoranda.it

Non che non ci provi, con tutto l’armamentario del cinema horror: musica che si alza all’improvviso, scricchioli inquietanti, improvvisi cambi di inquadratura che ti mettono faccia a faccia con il mostro quando meno te l’aspetti. Una serie di jumpscare, come si dice adesso. Che però non fanno sobbalzare granché. Una qualsiasi partita a Outlast, Resident Evil o simili è ben più efficace, da quel punto di vista. Lo stesso clown alla fine è più intrattenente che terrificante. Che poi non c’è niente di male, eh. L’importante è saperlo.

It – la recensione

Insomma: dopo i primi 10 minuti, che promettono bene, la paura va in trend discendente. E pensare che il regista di questo It, Andrés Muschietti – argentino di chiare discendenze italiane – ha girato non molti anni fa un horror con molti meno soldi, ma molto più terrore: Mama.

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It – Credits: YouTube – Smemoranda.it

Rimane la certezza che la parte più riuscita del racconto sia quella che parla di adolescenti in una piccola città degli Stati Uniti negli anni Ottanta, di primi amori, di amicizia romantica e piccole enormi violenza. I ragazzi possono essere persino più mostruosi del clown. E forse è esattamente questo, il punto.

Ok, alcuni ragazzi sono mostruosi, altri invece perfetti. Soprattutto, perfettamente assortiti: il casting che ha scelto i protagonisti è calibrato al millimetro. E il successo del film ha già messo il turbo alla carriera di mini-star come Finn Wolfhard, quattordicenne canadese che è passato direttamente dal più grande omaggio televisivo a Stephen King, e cioè la serie Stranger Things, al più importante adattamento cinematografico tratto da Stephen King dell’ultimo decennio (prima ce ne sono stati di piuttosto importanti).

Peccato che nel seguito, già previsto, lui non ci sarà, visto che la storia impone protagonisti cresciuti di trent’anni, come nella seconda parte del libro di King. Ma quella, del resto, dovrebbe essere la parte davvero terrificante. Speriamo

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